Chi avrebbe mai pensato che un viaggio di sei chilometri e qualche metro potesse durare più di un’ora?
Un ingorgo con i fiocchi, tutto fermo, bloccato. L’ennesimo cantiere stradale, l’ennesima rottura di palle.
Dovevo prendere la strada sterrata che costeggia la statale, ci avrei messo cinque minuti, ma con il senno di poi tutto diventa più facile.
Prendi una strada e speri per il meglio, poi se ti va male pazienza, anche se vorresti strappare la testa al primo lavavetri che trovi. Eviti le buche, quando le vedi, sorpassi i mezzi lenti e ti arrendi ai mezzi veloci.
Ogni tanto puoi incrociare un barroccio messo male, che a stento si regge sulle balestre.
Ti fermi, magari offri aiuto e ti ritrovi urla, offese ed imprecazioni solo perche il tuo mezzo ha un motore che funziona più del suo.
Sulla strada puoi fare tanti incontri, persino le mignotte.
Sarebbe meglio non mettersi in viaggio ed usare il treno.
Almeno quello va veloce e se ne frega delle code, dei cartelli e delle auto fatiscenti.
Tu dovessi star dietro a tutto quello che vedi mentre viaggi, converebbe accostare, spengere il motore ed andare a piedi, appunto a piedi. Pensavo di lasciare la, il mezzo meccanico, affiggere un bel cartello con su scritto "benzina finita" e mandare il traffico al diavolo.
Sbadigli e sbuffi.
Ti guardi attorno e vedi altri condannati in fila con le facce perse in quella coda chilometrica che sembra non finire mai. Facce addormentate, vuote, scontente, frustrate.
Mentre cercavo sollievo nella musica, girando fra le stazioni radio senza trovare pace, mi tornarono a mente le parole di mio padre, non so perchè. Mi rimbalzarono in testa cosi, senza apparente motivo.
Non ho mai creduto alle cose fortuite.
Non ho mai creduto in me stesso.
Cerco di essere un tipo razionale, anche se alle volte una spiegazione sembra non esserci.
Poco prima che lasciasse questo mondo, mi disse durante una delle nostre ultime camminate: " Ricorda figlio, non conta nulla quello che gli altri pensano di te, conta di più quello che sai di essere".
Mi scese una lacrima, povero padre mio. Ha lavorato tutta la vita come un mulo ed è finito dentro una cassa di legno modesto per risparmiare ancora più denaro.
Spensi la radio, la tristezza stava prendendo il sopravvento, ancora un po’ ed avrei divelto il volante.
Girai la chiave ed uscii dalla macchina e con stupore vidi altri con la stessa mia idea.
Era una giornata favolosa, fresca, profumata, tranquilla.
Un gruppetto di persone completamente anonime cominciò a dirigersi verso i campi, fregandosene altamente di tutto quello che stava accadendo. Li per li non credevo ai miei occhi.
Divertito e sorridente, misi da parte il disagio e mi incamminai insieme a quella folla cantando e stornellando canzonette goliardiche.
Se mi avessero fatto la multa l’avrei pagata.
Il resto?? Fottevasega.
Era una giornata cosi dannatamente bella che nulla poteva rovinarla.
Nemmeno la pioggia.
Tirai fuori l’armonica dalla tasca interna della mimetica e cominciai a suonare.