Sono trascorsi sei anni da quel maledetto 2009.
Sei lunghissimi anni in cui l'ho visto crescere. Era un cucciolo e ora è un cane adulto, ben piazzato e dall'aspetto vigoroso. Ricordo ancora il giorno che lui lo portò a me.
"Ecco Alberto, ti presento Ario. E' un bastardino, ma ha degli occhi e uno sguardo che non si dimenticano. L'ho visto al canile e non ho saputo resistere".
"Mario è bellissimo, ma a te i cani non sono mai piaciuti. Come mai questa novità?"
"No so. L'ho visto e ho pensato a te. Ario mi ha guardato ed è come se avesse compreso tutto. Ha abbassato le orecchie e mi ha leccato la mano".
"Compreso tutto in che senso?"
"Alberto, come fai a non capire?"
Invece avevo capito tutto. Lo sapevo da diverso tempo che le cose non andavano bene. Era dimagrito, troppo e in poco tempo. Stava perdendo la vista, la sua pelle era sempre più chiara e le sue notti insonni, come le mie. Nella penombra della cucina lo vedevo guardare il mondo, come se volesse perdersi dentro per dimenticare quel corpo che si stava frettolosamente spegnendo.
Io mi alzavo dal letto e andavo in bagno perché non riuscivo a trattenere le lacrime. Allora, con un asciugamano, mi coprivo il viso e piangevo in silenzio per non farmi sentire. Non volevo mostrargli la mia pena, perché lui stava chiedendo forza, ma io non riuscivo e mi abbandonavo alla debolezza.
"Questa è la vita Alberto. Tu sei più giovane di me e forse non puoi capire, ma io sono felice perché ho vissuto, ho amato e amo ancora. Cosa c'è di più bello di partire quando sei accompagnato dall'amore?"
No, io non capivo e non lo avrei mai capito, perché per me l'amore era vita e non morte.
"Però ti faccio due regali. Uno è Ario e l'altro è questo libro. Sono i miei pensieri, le mie poesie. Ogni giorno che ho vissuto con te l'ho descritto in questo testo. Quando ci siamo conosciuti e amati. Quando abbiamo comprato casa e deciso di dividere ogni singolo istante della nostra vita. Con te ho trascorso giorni bellissimi. Mi sono sentito desiderato e non avrei potuto chiedere di più. Per te sono stato il primo, ma tu hai ancora tempo e dovrai superare tutto questo. Te lo chiedo con il cuore in mano, come mio ultimo desiderio. Me ne vado felice. Resterei se potessi, ma sono stanco e la battaglia è persa".
Ora sono qui, insieme ad Ario, con il libro in mano e inevitabilmente ripenso a come vissi il suo stato e quegli ultimi giorni. Fu una prova immensa, che non avrei mai creduto di superare e chi può dire che io l'abbia mai superata.
Ci fu un periodo che lo odiai perché non riuscivo a capacitarmi come potesse una persona messa in quello stato cercare amore. Poi odiai me stesso e quella schifosa vita che avevo davanti, ma l'odio è un sentimento debole e l'amore lo vince sempre. Allora ritornò l'amore, ma con esso anche l'apprensione e l'incubo per il tempo. Ogni suo malessere, anche piccolo, mi gettava nella più nera paura. Pensavo a quanto tempo gli rimanesse e quanto ne potevo impiegare io per farmene una ragione.
Ma il tempo è un bastardo che non ha pietà e allora capii che non ci sarei mai riuscito.
Difficile dirsi che la vita deve continuare quando tutti i giorni senti in bocca l'amaro sapore del dolore. L'apprensione cresceva come un cancro che inesorabilmente divorava il mio corpo. Quando mi vedeva in quello stato Mario si arrabbiava e se ne andava in giro per ore.
"Sto già abbastanza male e non ha senso che tu stia peggio di me" mi diceva.
Invece senso lo aveva, perché come avevamo diviso l'amore, io volevo dividere anche il dolore, con la speranza di sottrargliene almeno un po', per far in modo che soffrisse meno. Mario faceva lunghe passeggiate per godere di quello che la natura poteva ancora offrirgli, come se avesse voluto vivere tutto in fretta, visto il poco tempo che rimaneva.
Io restavo spesso solo con l'apprensione che, nel frattempo, si era trasformata in disperazione.
Così fu anche quel maledetto diciotto gennaio 2009. Mi regalò Ario, il libro e uscì per una passeggiata. Io non capìì quel gesto, ma dopo poco mi venne un dubbio. Aprìì il libro e vidi che terminava proprio quel giorno con la lettera che Virginia Woolf scrisse al marito prima del suicidio e con la frase:
"Dedico questa bellissima lettera a te, mio dolce compagno. Grazie per tutto quello che hai fatto e donato a me. Sono stato bene. Felice e amato come mai avrei potuto chiedere".
Come Virginia lo ritrovarono sulla sponda del fiume vicino a casa nostra e in un punto aveva lasciato la sciarpa che gli avevo regalato e che indossava continuamente.
Come Virginia anche lui aveva vinto la morte, mentre io avevo perso tutto e ogni giorno, con il libro in mano e Ario vicino, vivo quella perdita.
Il dolore è una battaglia che non si riesce mai a vincere.
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Lettera di Virginia Woolf al marito prima del suicidio.
Carissimo, sento con certezza che sto per impazzire di nuovo. Sento che non possiamo attraversare ancora un altro di quei terribili periodi. E questa volta non ce la farò a riprendermi. Comincio a sentire le voci, non riesco a concentrarmi. Così faccio la cosa che mi sembra migliore. Mi hai dato la più grande felicità possibile. Sei stato in ogni senso per me tutto ciò che una persona può essere. Non credo che due persone avrebbero potute essere più felici, finché non è sopraggiunto questo terribile male. Non riesco più a combattere. Lo so che sto rovinando la tua vita, che senza di me tu potresti lavorare. E lo farai, lo so. Vedi, non riesco nemmeno a esprimermi bene. Non riesco a leggere. Quello che voglio dirti è che devo a te tutta la felicità che ho avuto nella mia vita. Hai avuto con me un'infinita pazienza, sei stato incredibilmente buono. Voglio dirti che – lo sanno tutti. Se qualcuno avesse potuto salvarmi questo qualcuno eri tu. Tutto se ne è andato via da me, tranne la certezza della tua bontà. Non posso più continuare a rovinarti la vita. Non credo che due persone avrebbero potuto essere più felici di quanto lo siamo stati noi.
V.