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"Sono con te...” questa fu la sua concisa ed immediata risposta. Sergio sentì con enorme emozione la quasi contemporaneità con cui gli era arrivata, quasi fosse stato il suo stesso cuore a premere i tasti delle parole del messaggio, come se i loro pensieri fossero così intimamente connessi da viaggiare all'unisono, e capaci di travolgere le logiche della fisica e del possibile. Ancora impulsivamente le scrisse “ aspettami...” e ancora, quasi simultanea, gli arrivò la risposta, come un tonfo nel suo cuore “ sempre ti aspetto, da sempre ti aspettavo". Entrò in cucina, sul tavolo c'era il caffè fumante che Silvia aveva appena versato, i loro tempi erano cronometrati, sulla scia di un'abitudine per cui anche gli orologi sembravano inutili. Uscivano alla stessa ora per andare al lavoro, e da molto tempo le poche parole che si dicevano, prima di uscire, alle quali Sergio avrebbe preferito il silenzio, erano solo tese sollecitazioni di impegni in sospeso, di cose da fare, che Silvia immancabilmente gli rimarcava e a cui lui, svogliato ed estraneo, assentiva. Sempre le stesse parole a cui avrebbe certo preferito il più pieno silenzio. Più estraneo di sempre bevve rapido il caffè, poi subito si alzò. “ Io vado a scuola... ci vediamo...” mentre lo diceva, si era già pentito. Perché le aveva mentito? Sarebbe stato più saggio dirle che si era dato malato. Sapeva quanto fragile fosse quella bugia, e certo lei avrebbe saputo della sua assenza, non le sfuggiva mai niente. Per lui quella bugia era una sorta di diga temporanea, grazie alla quale gli sembrava di potersi liberare immediatamente, di potersi esentare da domande e altre domande, cui avrebbe dovuto rispondere con altre bugie, in una sequenza senza fine. In effetti, nel pronunciare quella frase, neppure l'aveva guardata negli occhi: stava dicendo la stessa frase che ripeteva ogni mattina, la frase più normale fra loro. Ma, il sapere che non era sincera, bastava a trasformare tutti i suoi comportamenti, rendendoli a loro volta non spontanei e insinceri. Questo non sfuggiva alla percezione di Silvia; ma tutto, da sempre, era così inestricabile e privo di possibilità di comprensione, che non ci fece caso più di tanto. Si sentiva spinto da una frenesia di vedere il più presto possibile Irene, un bisogno così forte, come di una droga. In pochi minuti arrivò nel cortile della casa di suo padre, posteggiò l'auto, celata alla vista sotto un piccolo portico, e già era davanti alla porta. Stava per suonare, poi vide che la porta era solo accostata, gli bastò spingerla piano per entrare. Irene lo stava aspettando, veloce si era avvicinata dopo aver sentito la macchina. immediatamente si abbracciarono, sulla scia del loro flusso emotivo, di un abbraccio profondo e interminabile, amalgama delle loro energie. Per tanto tempo rimasero così, immobili, provando un'indicibile pace; tutte le tensioni che in quelle ore li avevano attraversati nel desiderio di ricongiungersi, adesso, dentro quell'abbraccio, erano svanite. Da lì, silenziosamente, passarono in cucina, dove sedettero al tavolo, lei aveva preparato un caffè. Le loro effusioni, che vivevano di sguardi, di rapide carezze, di sensuali contatti, non cessavano, spinti dalla loro impulsiva attrazione; nella stessa stanza c'era anche Giovanni, nel suo solito angolo, come sempre muto e apparentemente inconsapevole. Non potevano non chiedersi se davvero non si accorgesse di nulla e se i loro comportamenti affettivi non fossero fuori luogo davanti a lui; ma niente faceva loro pensare che lo toccassero in qualche modo. Soprattutto non credevano per nulla che quel loro espresso amore, potesse essergli in qualche modo dannoso. A Sergio parve addirittura di cogliere un bagliore divertito, nello sguardo diversamente perso di Giovanni. Rapidamente si raccontarono le loro ultime ore, dopo che si erano lasciati il giorno prima. Soprattutto Sergio provò a raccontare tutte le sensazioni del suo rientro a casa, e tutta l'ambiguità irrisolvibile, o che almeno lui così sentiva, dentro cui si era sentito immerso; ma si dissero soprattutto il calore che avevano continuato a sentire inalterato dentro di loro anche dopo che si erano divisi, e il parallelo bisogno avevano avvertito forte di toccarsi di nuovo, assorbirsi ancora. Elena quel mattino stava facendo il suo solito giro di spese, e anche la sua solita passeggiata, con la speranza di incontrare qualcuno con cui chiacchierare e tenersi sempre informata sulle ultime piccole o grandi vicende che potevano essere successe nel groviglio di interessi, famiglie e persone, del piccolo paese. Era stato forse un caso (caso che, comunque, lei aiutava in tutti i modi), per lei, vedere la macchina di Sergio girare ed entrare nel cortile del padre; il moto di sorpresa era stato immediato, ma poi aveva subito messo a fuoco ciò che da tanti giorni aveva capito. Di sorprendente, si disse quasi sorridendo tra sè e sè, non c'era proprio nulla: era solo un appetitoso altarino, di cui le sarebbe piaciuto avere il monopolio dell'intero disvelamento. Sapeva per certo che Sergio, per consuetudine, a quell'ora dal padre non ci sarebbe mai andato, e per lei non c'erano molti dubbi sulle ragioni di questa eccezione. Gironzolò ancora alcuni minuti per la strada, prima di decidersi a puntare dritta verso il suo obiettivo. Sentiva un certo disagio all'idea di comportarsi troppo da impicciona, ma un disagio che aveva subito accantonato, tanto forte era la sua curiosità di scoprire senza veli come stessero le cose. Si decise e, a passi veloci, entrò nel cortile. Di qui, con forzata indifferenza, andò verso la porta di servizio, fiduciosa di trovarla aperta come, con grande soddisfazione, la trovò. In fondo, per lei tutto questo rientrava nella normalità: da molti anni frequentava quella casa, per interventi di assistenza, più o meno frequenti, al vecchio Giovanni. Per questo era diventata per lei una prassi normale entrare per quella porta, e anche in quel modo non programmato, per questo lo faceva sentendosi dalla parte della ragione. Arrivata davanti alla porta della cucina, si fermò un istante: sentiva dall'interno parole più sussurrate che dette, che non riusciva a capire. Certo le percepiva come molto confidenziali, affettuose; lo avrebbe desiderato, ma non osava prolungare troppo quella sua situazione di ascolto furtivo. Si decise ad entrare; bussò sulla porta in modo lieve un paio di volte e, senza attendere risposta, l'aveva già spinta e spalancata. Ciò che vide non le lasciò dubbi nell'interpretazione del rapporto che poteva esistere fra Sergio e Irene. Come in una fotografia scattata all'improvviso, Elena li colse mentre, distolti dal suo ingresso nella stanza, si scioglievano rapidamente dal loro abbraccio, probabilmente da un bacio, pensò. Elena subito assunse un comportamento che significava di non aver visto niente, o quasi niente, e che comunque quello che aveva visto non avesse importanza. “ Scusate, forse disturbo, ma non sapevo fossi qui, Sergio. Passavo di qua ed avevo pensato di fare una visita a Giovanni per vedere come stava.” Il desiderio di Irene sarebbe stato di risponderle, senza mezze misure, che immaginava perfettamente quali intenzioni l'avevano portata là, e in quel modo inatteso. Ma, per quanto fosse certa delle sue interpretazioni, non le riusciva di essere così diretta, di negare con forza le vesti di apparenza indossate da altri. Non era nel suo carattere. Rispose in tutt'altro modo. “ No, nessun disturbo, anzi a Giovanni fa certo piacere vederti, ogni tanto ti nomina, e si che lui non ricorda quasi nessun nome... prendi un caffè?” “ no grazie, devo ancora andare in un sacco di posti, sono sempre di corsa” rispose Elena, mentre il suo sguardo indagatore si era rivolto su Sergio. Gli chiese “ come mai qui, Sergio, oggi niente scuola?” fingeva disinvoltura, ma inrealtà, per quanto le apparisse una persona semplice, le suscitava sempre una certa soggezione, col suo modo distaccato, indifferente ai cerimoniali, alle formalità. Con lui si sentiva scoperta, le normali schermaglie e recite della vita erano davanti a lui completamente inefficaci. “ No, oggi mi sono preso un permesso, sono venuto a vedere mio padre, adesso vado in città... devo sbrigare certe faccende di burocrazia di cui farei volentieri a meno” Rispondendo, Sergio aveva cercato di atteggiarsi alla massima naturalezza, ma intanto, e sempre impulsivamente, continuando a giustificare la sua assenza da scuola con sempre nuove bugie. Era infastidito da se stesso, pensò.L'imbarazzo tra loro era tangibile, fu Sergio allora, perché forse di più faticava a sopportarlo, a interromperlo. “ Ora vi saluto, devo sbrigarmi, alla prossima allora” Detto questo, senza neppure aspettare risposte, con modi quasi furtivi, uscì dalla cucina e se ne andò. Elena, che avrebbe volentieri seguito il suo esempio, si sentì quasi costretta a recitare fino in fondo la parte che aveva iniziato. Si accostò a Giovanni, che come una statua se ne stava immobile nel suo solito angolo. Con enfasi invadente gli stropicciò il viso, come fosse un bambino, intanto gli rideva e gli parlava ad alta voce “ come stai Giovanni? Allora sei contento di vedermi? Ti ricordi di me? Di Elena?” Dopo tanti stropicciamenti ed insistenze, come se si fosse svegliato da un lunghissimo letargo, Giovanni bofonchiò alcune parole, che per i non “ addetti ai lavori” sarebbero forse riuscite incomprensibili; per quanto Giovanni fosse quasi sempre chiuso in un mutismo quasi assoluto, muto non era, e qualche volta accennava qualche parola o delle frasi elementari. Spesso se ne usciva con cenni che si riferivano al suo più lontano passato; qualche volta, quando ritrovava la voce, lo faceva anche con un tono perentorio, quasi autoritario, attraverso cui riemergeva con chiarezza la persona un po' brutale e autoritaria che era stato. “ Chi sei tu? Io non ti conosco, cosa vuoi da me?” La sua uscita aumentò il disagio, anche se lui non aveva davvero più memoria di nessuno, con l'eccezione dei due figli, che sempre subito distingueva e di cui ricordava il nome. Elena pensò bene di trattenersi, comunque, ancora un po', ravvivando la conversazione con Irene, forse anche col desiderio di provocarla. “ Lo so, lo so, che la sua memoria va e viene, e magari in un altro momento si ricorda bene di me...” una piccola pausa, poi subito continuò “ allora, come ti trovi qui? Con Augusta va bene? E' un po' severa, ma poi anche giusta, basta saperla prendere. Con Sergio mi pare ti trovi bene e mi pare che ti stia aiutando molto ad ambientarti. Devo dire che, per tutto il tempo che sono venuta qui, non l'avevo mai visto così presente premuroso con Giovanni” Lasciò cadere con noncuranza queste osservazioni, e Irene, seppure la sua indole la portasse alla gentilezza, non aveva nessuna voglia di continuare quella conversazione. Le allusioni, neppure molto celate, la disturbavano, e si sforzò allora di essere quanto più evasiva e sbrigativa possibile. “ Si, mi trovo bene qui. Ho nostalgia di casa, certo, soprattutto vorrei vedere i figli, ma mi trovo bene. E' un ambiente tranquillo e gentile. Scusami però adesso Elena, adesso mi devo sbrigare, ho lenzuola e vestiti da mettere in lavatrice” Elena, capendo che non c'era terreno fertile per le sue domande maliziose, dopo qualche breve commento, si decise a sua volta di andare. Appena si trovò in strada, si senti agitata, combattuta tra il forte desiderio di andare in giro a spettegolare sulla ghiotta novità che aveva scoperto, e la titubanza nel farlo, sia per i legami che aveva con quella famiglia, sia per non rappresentarsi proprio come l'inguaribile pettegola che era. Così si dominò nel suo spontaneo impulso di mettersi subito a ciarlare con le prime persone incontrate sulla via, e cominciò a riflettere su come meglio le sarebbe convenuto comportarsi. Si aspettava da un giorno all'altro una telefonata di Augusta, la chiamava sempre per incaricarla di qualcosa presso il padre, e allora avrebbe pazientato fino a quel momento e in quella occasione avrebbe certo trovato le parole giuste, dette con astuzia, un po' in sordina, per mettere sul tavolo tutto quello che accadeva in quella casa; solo allora, senza più scrupoli, avrebbe potuto scatenare la sua lingua lunga per le vie del paese. Non passarono che poche ore, Elena stava pranzando, quando la telefonata di Augusta arrivò. “ Ciao Elena, più tardi andresti a dare un'occhiata a Giovanni? Gli potresti misurare la pressione e intanto vedi come stanno le cose... non mi fido molto di quella là, mi sembra un po' addormentata, e che pensi più ai fatti suoi che non a quello che deve fare, l'altro giorno l'ho anche rimproverata, che il bagno non era pulito come doveva essere. Lei mi ha risposto che le sembrava pulito, ma già, a quelle basta venir qua a portarsi a casa i loro soldi, e se non le controlli bene, e quando non fanno di peggio, portano solo disordine e confusione. Allora, per favore, puoi andare fino lì, poi mi riferisci?” Elena restò per qualche attimo in silenzio, le sembrava adesso il momento buono per assestare il suo colpo, e si lanciò nell'impresa. “ Io davvero ci andrei subito, lei sa bene, Augusta, che con lei mi sono sempre trovata bene, e con la sua famiglia, vero? Però questa volta non me la sento. Combinazione sono passata di là proprio stamattina, ma mi hanno fatto sentire davvero come un'intrusa. Dico “ mi hanno fatto” perché c'era anche Sergio, là. Lei sa bene che a me non piace “ parlar male”, insinuare sospetti, e neppure posso dire di aver visto niente, o almeno non ne sono sicura, ma là c'era qualcosa di strano, fra Sergio e Irene. Davvero mi hanno fatto sentire persona sgradita, e, lei lo sa bene, Augusta, io ho una dignità, e dove non mi sento gradita evito di andare. Ma, naturalmente, se mi potrà assicurare che sono state solo mie cattive percezioni, lei sa che potrà sempre contare su di me... ma per adesso preferisco aspettare quelle sue rassicurazioni” Nel sentire quelle confidenze subito si scatenò la rabbia di Augusta; un'ira che probabilmente era insita nel suo carattere, e che premeva costantemente in lei per uscire, che forse sentiva quasi come una liberazione. Era evidente, e il trovare qualsiasi pretesto per darle sfogo quasi costituiva per lei un piacere; il fratello era uno degli obiettivi principali di questa sua insita rabbia, anche se non sempre le riusciva facile scontrarsi con lui. Infatti si erano troppo irrigiditi fra di loro. Questa le sembrava una buona occasione, e con buoni motivi, così come qualsiasi falla che le sembrava di trovare nei comportamenti di lui, l'aveva sempre riempita di una smisurata passione rabbiosa; e siccome non sapeva bene come avrebbe potuto riversarla direttamente sul fratello, già pregustava quando l'avrebbe fatto su Irene, certa che aggredire lei sarebbe equivalso ad aggredire Sergio. Così, con intollerabile alterigia, Augusta da quel momento cominciò a recarsi dal padre numerose volte al giorno, con le scuse più inverosimili. Creava dei problemi a Irene, facendole continuamente osservazione sui suoi modi di condurre la gestione della casa e di badare all'anziano. Si trattava di sfumature, in quanto Augusta faticava a mettere a fuoco reali mancanze nell'adempimento di Irene delle proprie mansioni. Ma l'accanimento divenne accanimento vero, quella nuova aura di felicità possibile che Augusta respirava in quella casa, che di felicità ne aveva conosciuta così poca, sembrava mandarla intimamente in crisi. In questo modo, ancora più di una moglie tradita e gelosa, lei si agitava in casa di Giovanni; appunto ci andava molto più frequentemente del solito, capitando a tutte le ore, anche di notte. Irene colse perfettamente, in quelle occasioni, gli occhi di Augusta dardeggianti sugli eventuali segni della possibile presenza di Sergio tra quelle mura. Quando, invece, Sergio c'era davvero, nonostante che l'atmosfera fosse così difficile per loro, ugualmente erano presi dalla grande tenerezza reciproca che li avvolgeva come luminosa bambagia, facendo loro provare una pace interiore che nessun evento esterno riusciva a compromettere. Non era necessario che si dicessero molto, e anche se appena possibile si parlavano, non era perché avvertissero importanti delle spiegazioni, o motivi, ma solo per il reciproco piacere di mescolare le proprie voci, di arricchirsi ognuno delle parole, e quindi dei pensieri, dell'altro. Gli abbracci erano fugaci, in realtà si sentivano sempre come braccati; in quella fugacità avvertivano il dolore della percezione che gli altri avevano, o avrebbero avuto, della loro relazione, che in nessun modo poteva essere recepita per cosa era o loro la sentivano, di puro amore. Per quanto entrambi sentissero che questo - la percezione della gente - non aveva una reale importanza, ugualmente erano consapevoli che l'essere nel mondo presentava loro quel costo da pagare: l'inaccettabilità del loro legame. Così, nonostante Irene trascorresse molte ore della notte sveglia a immaginare un possibile futuro per loro, nemmeno per un attimo pensò che davvero un futuro concreto fosse per loro possibile. Percepiva e capiva l'essenza di lui, fragile e forte insieme e molto particolare: sentiva lui come una pianta che fosse incredibilmente cresciuta tra i sassi, ma che da quegli stessi sassi non potesse essere sradicata, se non perdendo completamente la propria possibilità di vivere. A questi pensieri, improntati sempre alla comprensione più forte che riuscisse a sentire per la natura complessa di lui, che del resto lui così candidamente e con generosità le offriva spontaneamente come essenza stessa dell'amore che le dava, a questi pensieri erano andate aggiungendosi delle preoccupazioni. Aveva ricevuto delle telefonate, quasi minacciose, di Carlo, suo marito. Anche i suoi figli avevano per lei nuovi toni, più freddi, quando li chiamava. Aveva il dubbio che, con il passa parola delle badanti del suo paese d'origine, qualcuno avesse debitamente messo la pulce nell'orecchio ai suoi familiari a proposito della sua vita privata, presso quella casa dove lavorava. Ne era angustiata e in pena, ma ugualmente non riusciva a sentirsi in colpa: le ragioni dell'amore sentito con immediatezza erano troppo forti in lei per pentirsi della sua relazione con Sergio. Soltanto, con angoscia, si chiedeva quanto tempo restasse loro a disposizione per potere stare ancora vicini, e assorbirsi uno nell'altra.
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.
I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.
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