Ebbene guardatemi in faccia perché mentre scrivo io guardo in faccia ognuno di voi.
Sono qui alle 4 di mattina, affacciata in una piazzola deserta dal bagno di casa a tentare di fumare e rimuginare, la seconda purtroppo senza problemi. Come una quindicenne che si nasconde ai genitori e inspira vaga maturità che puzza di tabacco, come il ragazzo con i piercing sparsi e il dilatatore dietro casa con gin e canna. Io non sono un’ adolescente e non penso neppure al ragazzo, sia ben chiaro, ma al momento ci vado tremendamente vicino.
Sono quella che a piedi scalzi il 4 di gennaio zampetta alla disperata ricerca di un accendino mentre mormora imprecazioni con la stessa fede con cui sua nonna dice il rosario. Sto per perdere un alluce, lo sento, cioè sento di stare per perderlo visto che non lo sento proprio più. Resterò con quattro dita del piede destro, ma, me ne posso fare una ragione se trovo la mia sacra fiamma, giuro. Niente nella borsa, neppure in bagno o in salotto. Maledizione, tocca scendere le scale dei ghiacci. In cucina finalmente trovo la mia fonte di beatitudine istantanea che non coinvolge nessun altro se non me, qualche milligrammo di tabacco e una cartina insalivata che lo avvolge come un tubino su misura. Ed ecco il mio orgasmo emotivo. Ora, forse, riuscirò laddove fino ad ora ho fallito: del comune sonno.
Quest’ anno non ho ricevuto neppure un augurio di buon anno: non mi sono mai sentita così sola.
Nella mia ricerca spasmodica di libertà, indipendenza e silenzio ho ottenuto anche di più. Piacere, sono Marla, 22 anni e sola come un cane perché se l’è cercato. Il fatto è, che a furia d’ ingozzarmi di filosofie da autodidatta mi sono convinta che per essere me stessa, incontaminata nella mia imperfezione e stupidità, devo essere sola, sennò, in termini semplici finirei per essere gli altri, insomma un triste e insulso suicidio sociale, quindi se avete bisogno di un consulto in questo settore, fidatevi, ne sono maestra.
Dicono, in realtà me lo disse un vecchio mentre aspettavo il verde al passaggio pedonale dopo la discoteca, che ieri condiziona oggi, e che il mio di oggi lo avevo per metà sprecato quel giorno. Mentre alle 12 e mezzo della mattina seguente (che in realtà era la stessa) strofinavo via il mascara, probabilmente riducendomi peggio di prima e una vaga irritazione per aver scordato di mettere la sveglia mi serpeggiava tra stomaco e gola decisi che forse, in quell’ occasione, aveva avuto ragione quel vecchio estraneo. Che poi, che diavolo ci facesse in giro alle 5 di mattina resterà, per me, sempre un mistero.
Ma da soli si sta bene, c’è silenzio e pace, e la cosa mi basta. Questo è quello che ho ripetuto come un mantra fino alla perdita di coscienza e l’ oblio. Ah, dimenticavo… buonanotte.
Nonostante tutto, il giorno dopo quando il cellulare squillò e la voce di un mio vecchio amico mi si riversò contrita e calda addosso con fiumi di scuse e contrizione me l’ avvolsi come un piumone a due piazze attorno e iniziò a fare meno freddo. Il 5 gennaio, dopo un'ora di chiacchiere e umorismo sfigato, mi parve un buon giorno per iniziare il nuovo anno e quei cinque giorni passati nell'ombra infausta dell'anno precedente non mi parvero più così importanti rapportati ai restanti 359.
Ci sono alcuni eventi che, per quanto banali hanno un potere devastante sulla vita (quantomeno sulla mia), non sono mai cose plateali, scene da film in bianco e nero con lacrime e moccio o indiscusse tragedie. Quella voce nota, il cui corpo non vedevo da talmente tanto da non sapere neppure se finalmente avesse messo su un po’ di barba, probabilmente, mi ha tirato fuori da un vuoto autoimposto tanto quanto deleterio. Il senso di carezza al borbottio indulgente sulla mia mancanza d’ iniziativa sociale ha ridato colore a quella mattinata che seppur invernale (come è ovvio che fosse) era abbastanza luminosa da spingermi, inforcato il cappottone, a fare un ulteriore tentativo col mondo.