Sabato 25 gennaio 2020 ore 14, 30, oggi è il capodanno cinese, ricordo che nel lontano 1959 il capodanno cadde l'8 febbraio, di domenica, fu anche il giorno in cui nacqui io.
Che strani collegamenti può creare la nostra mente.
Sono seduta a un tavolino all'aperto da Cucchi, sì, è inverno, ma la giornata è così splendida e il sole così vivace, che posso godermi questa pausa con tranquillità.
Mentre la mente scivola su mille ricordi.
Quando gli anni diventano una nutrita schiera, ci si sente testimoni del tempo e quel che si è vissuto diventa un filo leggiadro a tessere splendidi arazzi.
Mi sento fortunata, ho percorso anni di grandi cambiamenti, ho ascoltato narrare di guerre e povertà, ho sentito l'entusiasmo della rinascita, ho vissuto l'arroganza del benessere, ho percepito la paura del decadimento e poi...
Mentre sorseggio il mio caffè, guardo il bicchiere d'acqua cristallina che riflette un cielo terso di un azzurro che smarrisce, il cielo della mia città, il cielo di Milano.
Sorrido e una brezza d'orgoglio mi carezza il cuore.
Amo Milano, l'ho sempre amata, ma ci sono stati tempi bui, molto lontani da questo giorno, sebbene molto vicini nel tempo.
Sì, ora tutti dicono che Milano è davvero bella, dicono che è cambiata, dicono che finalmente è vivibile.
Io l'ho sempre saputo, anche quando tutti la definivano algida, grigia, frenetica, quando tutti camminavano veloci a testa bassa con un'espressione rabbiosa e lo sguardo triste, lontano.
A quei tempi bisognava avere occhi diversi per riuscire a vedere oltre la spessa coltre che oscurava ogni bagliore.
Riorganizzo i miei pensieri e parto dall'inizio, tornando a quel tempo così vicino eppure lontano anni luce.
Era il maggio del 2014.
Già c'erano state alcune avvisaglie che portavano a pensare che qualcosa stesse cambiando, ma non era chiaro di cosa si trattasse e i segnali erano tutt'altro che positivi.
La situazione economica, già da molti anni, era in caduta libera, ci sentivamo tutti burattini nelle mani di eminenze grigie che gestivano classi dirigenti inette, capricciosamente infantili e arrogantemente incapaci di capire la gravità della situazione e di collaborare efficacemente per attuare cambiamenti.
Ma c'è ra ancora qualcosa di peggio!
Noi.
Noi tutti eravamo persi, totalmente distratti a seguire il nulla, travolti da sciocchezze, campanilismi, invidie, cattiverie ed egoismi che ci rendevano incapaci di capire altri da noi stessi.
In ogni ambito, in ogni rapporto, le incomprensioni stravolgevano tutte le dinamiche, fingevamo di ascoltare, ma in realtà eravamo concentrati solo su di un vuoto che ci rendeva larve ambulanti, cristallizzate in una solitudine devastante.
E accadde il peggio.
Nell'arco di pochi giorni comparvero occhiali fantastici.
Non si riuscì a capire come mai, ma quasi tutti entrarono in possesso di questi "meravigliosi" strumenti che consentivano di essere in connessione con il mondo intero.
Ma, badate bene, era un mondo virtuale.
Questi prodigiosi occhiali consentivano di telefonare, ricevere informazioni, indicazioni stradali, ascoltare musica, visualizzare film, leggere e giocare, mantenendo un distaccato contatto dalla vita che stavamo vivendo e la realtà veniva modificata e filtrata.
Sembrava tutto più bello, i cieli più sereni, il traffico meno aggressivo, perfino gli sconosciuti che ci passavano accanto venivano delicatamente trasformati, abbelliti, spersonalizzati.
Nelle strade c'era un continuo vociare di persone che parlavano al telefono, interagivano verbalmente con un videogioco, sorridevano seguendo immagini, parole e suoni solo propri, ognuno per sé.
Tante minuscole isole di felicità fittizia.
Anche sul lavoro gli occhiali "aiutavano" suggerendo le strategie migliori per svolgere i propri compiti nel modo adeguato, ho perfino saputo che, una voce suadente a fine orario, si complimentava con i "fortunati possessori" degli occhiali, esaltando le loro prestazioni e gratificandoli con strane vibrazioni sonore che provocavano un piacere davvero intenso.
Qualcuno mi raccontò che non li toglieva neanche per dormire e faceva dei sogni bellissimi, svegliandosi riposato come non era mai successo.
Anche le persone meno abbienti vennero contattate per questa promozione.
Individui molto cortesi e professionali, elegantemente vestiti e senza occhiali, illustravano loro le meraviglie di questa nuova frontiera del futuro.
Li chiamavano elegantemente "Gerere Oculum", ma più semplicemente "GO" con un entusiasmo che non poteva lasciare indifferenti.
A tutti i "fortunati possessori" venne promesso, con mirabolanti descrizioni, un imperdibile omaggio che avrebbero ricevuto dopo 3 mesi d'uso degli occhiali.
La promessa fu mantenuta e tutti ebbero un delizioso micro chip impiantato, senza alcun disturbo, sul dorso della mano sinistra in prossimità del pollice, ottenendo così: sconti, facilitazioni e cure mediche gratuite.
Tutto questo sembrò loro il paradiso, non fu così per coloro che non avevano avuto gli occhiali.
Io e pochi altri, così pochi che mai riuscii ad incontrarne uno, avevamo un'inspiegabile intolleranza a questi oggetti.
Quando li indossavamo, dopo qualche minuto si surriscaldavano, cominciavano a sfrigolare e partivano piccole scariche che ci costringevano a toglierli subito.
Ho pensato che fosse dovuto al fatto che, personalmente, trovavo odiosi questi occhiali, perché isolavano dal mondo.
Ho sempre creduto che la nostra mente abbia una forza enorme se non ci lasciamo catturare dalla pigrizia e dalla stupidità, se non ci facciamo distrarre dalle inezie, se non ci poniamo nel girone degli ignavi.
Ma non avere quegli occhiali mi rendeva una sorta di paria, giravo per le strade cercando altri come me, ma era un'impresa titanica che fallì miseramente.
Passarono i mesi e furono molto tristi, mi trovai sempre più isolata.
Navigare in internet divenne mano a mano più difficile, perché, se non possedevi gli occhiali "GO" che fornivano un accesso immediato e diretto con semplici comandi vocali, dovevi superare controlli sempre più rigidi.
Cercavo di capire se questa cosa stesse succedendo solo a Milano o fosse un'iniziativa globale, ma era difficilissimo ottenere informazioni, sembrava che la grande rete fosse diventata una ragnatela dove, ad ogni passo, rimanevi invischiato, la comunicazione non fluiva e ti sentivi vittima di una cospirazione.
Poi finalmente mi parve di aver incontrato in internet qualcuno che capisse di cosa stessi parlando e condividesse le mie preoccupazioni, ma comunicare non era facile, inspiegabili interruzioni della connessione, strane interferenze, continui ostacoli.
Tra mille difficoltà credetti di avere finalmente trovato un amico con un nome particolare, che mi parve ben augurante, Lupo.
Passammo al cellulare, ma i problemi non diminuirono e perfino la possibilità di spostarsi fisicamente da Milano sembrava vietata a chi non avesse gli occhiali.
Riuscimmo a mantenere per qualche mese i contatti, ma sempre più sporadici, sempre più difficoltosi, nonostante il parlarci scatenasse in noi emozioni molto forti, pian piano divenne impossibile continuare a sentirci e, dolorosamente, sparimmo l'uno per l'altra.
Mi trovai a pensare che non fosse mai esistito.
Nuovamente sola.
Intanto il tempo passava, mesi che sembravano anni, dove tutto correva rapido e, in una città con più di un milione di abitanti, io mi sentivo drammaticamente isolata.
Mi sembrava di essere finita in quella vecchia serie di telefilm che mi pare s'intitolasse "Ai confini della realtà".
Mi trovai a pensare seriamente di riprendere gli occhiali sfrigolanti che sembravano essersi tranquillizzati, nel cassetto della mia scrivania, ma ebbi una folgorazione, un'ultima speranza.
Maggio 2015 l'Expò.
Decisi che forse avrei trovato lì le risposte che cercavo.
L'inizio fu sconfortante, i padiglioni di molti paesi erano perfettamente in linea con quel che stava succedendo, tutti muniti di occhiali interattivi.
Poi mi accorsi che alcune nazioni partecipanti, in particolare stati africani, sembravano normali, forse un po' smarriti, ma nulla che sembrasse potermi dare delle risposte.
Finalmente inaspettata e, fino ad un istante prima, invisibile, una struttura che si stagliava meravigliosa, come un sogno leggiadro.
Teli bianchi che riflettevano la luce di un sole stanco, rinvigorendone i riflessi, molto grande, incomprensibile, estremamente affascinante.
L'aria, che altrove sembrava stagnante, il calore umido e soffocante che avvolgeva Milano in quella primavera inoltrata, qui non esistevano più.
Un vento delicato rendeva ancora più onirica quell'immagine che trionfava davanti ai miei occhi e il refolo fresco produceva un suono armonico di una piacevolezza sconvolgente.
M'incantai a guardare e vidi muoversi leggiadramente tra le tende bianche, tante persone, di tutte le età e di razze differenti, con un'unica cosa in comune, la bellezza indescrivibile, quella bellezza simile a una luce che si irradia dall'interno e fa sparire ogni difetto, ogni ruga, ogni imperfezione.
Giochi di luce solare disegnavano sui tessuti candidi la scritta "Universo".
Vedevo meravigliosi sorrisi, freschi come acqua di fonte a dissetare seti ataviche.
Guidati da questi splendidi esseri, vidi entrare, tra i teli fluttuanti, persone con gli occhiali ed uscirne prive con lo stesso splendente sorriso di chi li aveva accompagnati e l'occhio vivace pieno di progetti ed entusiasmo.
I giorni, i mesi e gli anni a venire cambiarono la storia.
Un numero incredibile di persone di buona volontà si trovarono a lavorare insieme su tutti i fronti, energia pulita, risparmio energetico, contenimento e raccolta differenziata dei rifiuti, educazione sentimentale, istruzione... nulla è rimasto quel che era, tutto si è modificato.
Milano è quel che non era mai stata e avrebbe sempre voluto essere.
Ma torniamo a qui e ora, sorseggio l'acqua dal mio bicchiere e non smetto di sorridere.
Non so se quel che ho ricordato è completamente reale, ma un'anziana signora tanto bella quanto era bello il suo sorriso, bianca tra quei teli bianchi, mi disse che Lupo sarebbe venuto a prendermi, proprio qui, proprio ora.
Ci ho creduto, sono passati quasi cinque anni e non ho dimenticato l'appuntamento.
Forse sono solo una stupida, ma continuo a sorridere mentre guardo il cielo azzurrissimo e respiro l'aria fresca e pulita.
-Ciao Elisabetta-
Distolgo lo sguardo dal cielo, appoggio il bicchiere, mi alzo lentamente, i miei occhi incrociano i suoi ed è brivido.
Lui ha preso delicatamente la mia mano destra e, mentre mi alzo, la sfiora con le sue labbra facendo un lieve, elegante inchino.
Sorride, non servono le parole, ce ne andiamo mano nella mano.
Anche il cielo sorride.