…sarà che l'aria del Bairro Alto mi stropiccia le sinapsi, ma che soffice fragore tra le pareti del mio sonno vegliante… Parlo aria e mangio scosse apocalittiche che ruvide di lava incandescente trapassano l'intelletto umiliato.
Forse anch'io, una volta, ho sognato?
L'arduo divincolarsi dal grigiore asfissiante. Sabbia vorace di spiriti effimeri, gli occhi non più scivolano addosso a forme geometriche, ora i confini sono fittizi, come la mia sostanza. E l'arsura della risacca dell'onde del mare d'inverno, cupo e gelato d'ardori esistenziali che mirano al tangibile. Quelle espressioni caduche che tanto m'attraggono sono il filo disperso di sproloqui d'antenati che si crogiolarono nella contingenza insufficiente. Quale confine tra gli schiaffi, gli sguardi, le elucubrazioni velenose e il lieve fiabeggiare dell'alito quasi smorzato del rugoso crine in fiamme?
E vedo sprofondare infinitesimi colori nei grigiori di barlumi opachi. Così il rimuginare di sentenze rimestate, troppe…la fine del fine ciò che terrorizza, il mezzo del mezzo ciò che allieta, l'essenza dell'essenza ciò che uccide. Meglio limitarsi alla limitatezza delle porzioni. Un universo a portata di mano, un palmo che stringe l'onniscienza, un fungo che miracolosamente spunta…meglio non calcolare.
Quanto paga la comprensione?
Forse appaga la conoscenza?
Sentirsi un tutt'uno con le cariatidi luminose serpeggianti che scivolano lungo la tela monotona. La tela senza colore che di tutti i colori ha assorbito la fatiscenza. Forse vale più rintanarsi nella corazza mortale nel dispiegarsi dell'equivoco cervelloide: l'illusione dei colori allevia i dolori iniziali, finché i bombardamenti apatici tarpano le ali della fenice sfortunata, viva e fatalmente immortale. Ora s'estingue l'ultimo bagliore, ed il mare crepuscolare fonde in sé l'astrazione della luna che non si volge. Chissà che il lato nascosto abbia ragion d'essere?
Meglio ignorare d'ignorarsi.
Narciso Soares