Il capolavoro di Nagisa Oshima è stato inserito (erroneamente) nel «calderone» dei film pornografici, soltanto perché affronta la crisi esistenziale di un rapporto di coppia in chiave erotica…
Bisogna conoscere la cultura orientale, nelle sue minime sfaccettature e contraddizioni, per apprezzarne la qualità narrativa.
Non è l’ azione che cattura l’ interesse dello spettatore, in quanto la maggior parte delle scene è stata girata in una « garçonnière», bensì la gestualità che rende irripetibile il «gesto simbolico».
Sada e Kichido materializzano le loro passioni sessuali attraverso una serie di giochi proibiti che li porterà verso l’ annichilimento psico- fisico.
Ecco l’impero dei sensi scavalca i codici morali della società borghese, e la sua millenaria ipocrisia, ed esalta la bellezza ideale, fondata sull’ estasi spirituale e la suggestione delle cose; ogni situazione appartiene al ciclo rituale della vita e della morte.
«La sofferenza dev’essere mentale, non fisica – scrive Sigmund Freud – poiché quest’ ultima scoraggia sia il godimento che l’ attività psichica. Deve nascere da una situazione di conflitto, che richiede uno sforzo della volontà e una resistenza».
Nel lungometraggio franco-nipponico, uscito nel 1976 nelle sale cinematografiche di tutto il mondo, si vuole dimostrare il contrario: il laccio strangolatore, che l’ ex- prostituta stringe intorno al collo del suo amante, è lo strumento che permetterà ad entrambi di vivere «à bout de souffle» la morte nella sua drammaticità più autentica.
Ecco l’ impero dei sensi è la storia di un’ agonia umana, vissuta al «ralenty», lenta come il tempo che passa, inesorabilmente, sotto lo sguardo secolare dei pregiudizi e tabù.
Un film «a rischio» per le nuove generazioni, ma straordinariamente attraente per chi conosce il potere «dissacratore» del cinema d’ avanguardia.
Negli ultimi anni sono stati realizzati molti film di questo genere, però nessun regista era riuscito a riprodurre sulla pellicola l’ atmosfera leggermente «afrodisiaca» dell’ opera giapponese.