Ti chiederai perché ti scrivo invece di parlarti, che sarebbe la cosa più semplice, dato che dividiamo lo stesso tetto. E invece non è affatto semplice e tu lo sai bene, perché ogni volta che ci provo, per quanto mi adoperi a calibrare il tono e a dargli un timbro spensieratamente leggero, tu mi tronchi le parole sulle labbra, dicendomi, senza mezzi termini – Ma’, non cominciare la predica! –
E invece io voglio parlarti, a lungo, con calma e se tu non ce la fai a leggermi tutta d’ un fiato, puoi interrompere e poi ricominciare, quando ti va .
Il problema è da dove iniziare. Qui sta il difficile, quando si parla con qualcuno che amiamo: si vorrebbe dire tutto in una volta, il bello e il brutto, per dare più in fretta la gioia e per far passare prima il dolore. Ma io non posso commettere errori con te, per questo ho scelto di scrivere. Certo, quando ci si parla si hanno maggiori possibilità di controllare come va il discorso; gli occhi dell’ interlocutore sono il primo segnale che può metterci in guardia, se la direzione intrapresa non è quella giusta. E poi ci sono quei gesti involontari di fastidio, lo sbadigliare, il guardarsi intorno un po’ annoiati, il giocherellare nervoso con il primo oggetto che si trova a portata di mano eccetera. Io rinuncio volentieri all’ aiuto degli occhi e della voce per parlarti con questa lettera, che ho cominciato a scrivere senza sapere da dove avrei iniziato e dove ci porterà.
I motivi di scontro tra noi derivano in questo momento essenzialmente dalla scuola.
Pare che tu soffra di un’ intolleranza grave nei confronti dello studio e rifiuti categoricamente ogni aiuto per superare la malattia. I sintomi, in verità, si erano manifestati già dalle scuole medie, ma credevo che tutto dipendesse dall’ incapacità dei tuoi insegnanti di stimolare adeguatamente la tua intelligenza, vivacissima e insofferente di tutto ciò che è troppo metodico, regolare, ripetitivo. E’ che promettevi tanto! Cerca di capire se adesso vorrei da te qualcosa di più del tuo andare a scuola ogni giorno.
Quando sei nato pareva che fossi il primo bambino mai nato, il primo figlio, il primo nipote, il primo troppo. Tuo nonno, quando ti rifiuti di venire a trovarlo perché non puoi perdere l’ intero pomeriggio, ingoia la delusione e ti giustifica. - Ma che vogliamo noi? E’ un ragazzo! mica può venire ad annoiarsi qui con me che sono diventato vecchio! – e poi rispolvera qualche ricordo: quando guardavi i pali a forma di croce e rimanevi con gli occhioni spalancati esclamando – Cifù!- o quando ballavi, dritto davanti a lui, muovendo il culetto imbottito dal pannolino al suono dell’ armonica a bocca e acceleravi i movimenti seguendo il ritmo sempre più veloce, finché nonno scoppiava a ridere e ti abbracciava stretto.
A venti mesi ti regalammo una vespa a batteria, la tua prima moto, e giravi spedito per casa, senza sfiorare i mobili, a tutta velocità. Adesso già guidi l’ Audi come fosse quella vespa e fai il conto alla rovescia sui mesi che ti separano dalla patente e dalla tua macchina. – Me la comprerai – mi dici tranquillo – come mi hai comprato il motorino, dopo l’ esame di terza media, anche se ho preso ‘ buono’ invece di ‘ ottimo’- E probabilmente hai ragione a mostrare tanta sicurezza, anche se ho giurato a me stessa che questa
volta non cederò. Ho ceduto talmente tante volte, che diventa complicato anche per me avere fiducia nei miei propositi di fermezza. Ma questa volta, vedrai, ce la farò, per non sbagliare ancora.
Quando mi dissero che eri dentro di me, che il test di gravidanza era positivo, cominciai a parlarti immediatamente. Ti dicevo tutto quello che mi passava nella mente, di te, di me, di quello che avremmo fatto insieme quando tu fossi uscito dal mio ventre, dove crescevi tranquillo e vispo, sano tu e sana io. Hai sentito tanta musica, insieme a me, e hai passeggiato più di quanto tu abbia fatto poi nei tuoi diciassette anni fuori di me.
Nei mesi dell’ attesa la casa era piena di riviste per mamme in attesa, il corredino già quasi ultimato quando eri ancora un ovetto informe e poi, settimana dopo settimana, si costruiva nella mia mente il tuo corpo con tanta precisione di particolari che ti vedevo, chiudendo gli occhi, esattamente come eri dentro il tuo piccolo mondo ovattato.
Credo di essermi sentita molto più importante in quel periodo che in qualunque altra fase della mia esistenza. Ti stavo creando, questo pensavo, e ti confesso che mi risultava difficile accettare l’ idea che tu venissi attraverso di me e non da me. Mi risulta difficile anche oggi, malgrado l’ esperienza mi abbia insegnato tante cose che non sapevo su noi due