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"Un'altra vita" cap. 10

Amore

"Storie vecchie e nuove"

A casa Sergio ebbe una discussione abbastanza brusca con sua moglie Silvia. Il motivo era futile, riguardava Enrico, il figlio minore, e il desiderio che aveva espresso di acquistare un paio di sci nuovi, per la stagione invernale in arrivo. Silvia aveva escluso categoricamente che fosse opportuno, con un aspro “ con tutto quello che spendiamo già per l’ università di tuo fratello! Lo sai che non ci sono soldi in questo periodo”.

Enrico aveva chiarito che non aveva inteso chiedere dei soldi in casa, aveva da parte un piccolo gruzzolo frutto di qualche lavoretto estivo, qualche mancia dei nonni… solo gli era sembrato corretto manifestare il suo proposito. Ma Silvia non amava ritornare sui suoi passi, ricredersi, e aveva dichiarato che, se avesse comprato gli sci nuovi, non si aspettasse poi che a tempo debito (generalmente all’ arrivo dei saldi invernali), lei gli avrebbe poi comprato il giaccone che gli serviva, o altri jeans o maglioni. Sergio aveva trovato tutto ciò ricattatorio; anche se non aveva mai motivato troppo Enrico ad intraprendere lo sci, perché gli era sempre sembrata un’ attività sportiva elitaria, aveva poi invece nel tempo apprezzato l’ intraprendenza di Enrico. Suo figlio, che per lo sci invece aveva maturato una vera passione, quando fosse incominciata la stagione delle discese, con tenacia si sarebbe organizzato a prendersi treni e pullman per arrivare alle località sciistiche, come già faceva da qualche anno. E anche per acquistare gli abbonamenti giornalieri agli sky- lift, non aveva mai gravato tanto sulle economie familiari: spesso faceva il cameriere in pizzeria il sabato e la domenica sera, per gestirsi quella passione senza pesare in famiglia.

-Se gli servono gli sci nuovi, secondo me li può, li deve comprare. E’ cresciuto, Enrico, non può continuare ad usare quelli che aveva tre anni fa, quando andava ancora alle medie…

Silvia non aspettava altro, per rivoltarglisi contro: -Eh, certo! Come se ci fossero soldi da buttare, in questa casa… Con quelle due lire che prendi tu di stipendio, non vedi che facciamo fatica ad andare avanti?

-Non è vero, ne abbiamo parlato tante volte, e sai bene che non è vero, abbiamo tutto cosa ci serve, e anche di più

-Sì, come no? Giri con una macchina che a momenti mi vergogno di dire che sei mio marito… e da quanto tempo non ti compri un cappotto nuovo? Per non parlare di me…

-Silvia, tu vuoi che io dica che ho sbagliato a fare la vita che faccio, e lo sai che questo mi fa male, perché io non avrei saputo farne un’ altra, di vita. Sarà mediocre ai tuoi occhi, agli occhi di tutti, ma è quella che so vivere, non un’ altra. E se ti servono abiti nuovi, non hai che da comprarne, non mi hai mai sentito dire una parola contro di te, quando lo hai fatto. So che ti fa piacere, ne senti la necessità: fallo! Ma non aspettarti che io senta quelle stesse necessità che sono importanti per te, ugualmente importanti anche per me. Lo sai da sempre che non è così.

-Perché tu non hai mai voluto provare, a pensare come me, a provare a vivere come piaceva a me. E’ questa la verità.

Sergio, dopo queste parole, aveva lasciato la cucina, dove avveniva la discussione. Argomenti vecchissimi, tra di loro, così vecchi che le parole gli sembrava avessero scavato una pista di prevedibilità e non potessero che inesorabilmente scivolare su quella pista, senza deragliare mai verso strade nuove, non battute. In fondo capiva anche Silvia, il suo desiderio di sentirsi maggiormente inserita in un sistema di vita convenzionale, ben accetto e gradito agli occhi del mondo esterno: maggiore decoro estetico, un’ auto più bella, vestiti eleganti… Silvia non era una stupida, sapeva che non era quella l’ essenza della felicità, ma individuava quella come mancanza, perché era la più a portata di mano. Alla felicità vera non sapeva più pensare, al ritrovare un filo di unione dei pensieri che pure una volta era sembrato poter esistere, tra loro, che li tenesse vicini alla ricerca di un comune sentire, che somigliasse, quello sì, alla felicità. A Sergio sembrava che, in un tempo molto remoto, insieme ne parlassero, la sentissero, seppure magari raramente, questa vicinanza… poi, chissà quando, il filo si era spezzato. Erano rimaste solo le rimostranze per il senso di secca solitudine, per la vita materiale non appagante, per il silenzio che ora li divorava anche quando si travestiva di parole.

Ritiratosi nel suo studio, Sergio avrebbe dovuto correggere dei temi, ma si disse che l’ avrebbe fatto l’ indomani: era la sua mattinata di libertà, ne avrebbe avuto il tempo. Ora voleva pensare, magari scrivere. Accese il computer: da qualche tempo ormai aveva, benché a malincuore, abbandonato la scrittura tradizionale su carta. Anche se tuttora le innumerevoli pagine scritte da lui a penna, di fantasia oppure di ricordi, erano tutte sparse: in agende, quaderni, vecchi fogli A4 ingialliti, nei vari ripiani e cassetti. La vita strana, lui la trovava strana, che aveva avuto esisteva ancora così, stratificata in ricordi scritti: per lui erano equivalenti i ricordi della vita vera, alle cose che nel tempo aveva desiderato scrivere perché frutto della sua fantasia e ispirazione. Nel suo pensiero intimo erano la stessa cosa, così fortemente avevano fatto parte di lui sia le esperienze vere, che i pensieri. E poi c’ erano tante poesie, e racconti, e impressioni. Si chiedeva a volte che senso avesse avuto usare tante energie in quel modo, tanto tempo. E anche questo era un motivo ricorrente delle lamentele di Silvia, che tante volte si era sentita trascurata, in mezzo a tutto il suo scrivere. Ma, anche quando aveva provato a coinvolgerla, non era stato possibile trovare una via che li unisse in un pur piccolo moto di complicità, di comprensione. Silvia si era sempre irrigidita, come se l’ avvertire il polso, il vero battito della vita interiore di lui in quegli scritti, aumentasse anziché diminuire il senso di estraneità tra di loro. Sergio non ci aveva più provato, a coinvolgerla, ma non sopportava che lei continuasse a desiderare, da parte sua, che rinunciasse a scrivere, solo perché lei non lo capiva.

Intanto che tutti questi pensieri lo attraversavano, ancora una volta dopo milioni di volte, cercava di ricacciare indietro il pensiero nuovo, quello di Irene. Non era lucido desiderio di mostrarle i suoi scritti, quanto piuttosto la consapevolezza che, nelle conversazioni che avevano avuto in quei giorni, lui le aveva parlato di sé sentendosi quello stesso stato d’ animo che provava mentre scriveva. Anzi, ancora più intenso, tanto può essere intenso essere ascoltati da qualcuno che desidera accoglierti. Quella era l’ impressione che viveva con Irene, era bello averlo messo fuoco.

Pensava a quanto fosse strano, tutto sommato, provare questo genere di emozione. Gli sembrava strano, ma allo stesso tempo era come provare la sensazione di un ritorno a casa. Ogni volta che si era sentito attratto da una donna, lui sapeva questo di sé, che innanzi tutto era stata l’ impressione di poter trovare comprensione emotiva a colpirlo. Certo un bel viso, un bel corpo, potevano attirare il suo interesse, e questo gli era accaduto, che quella fosse la molla del suo interesse per una donna. Così come era successo che l’ incontro con una donna si risolvesse, anche felicemente, nell’ abbraccio fugace di una sera. Ma l’ interesse vero nasceva sempre da un’ intesa che qualcosa dentro di lui era sempre vigile a cercare, perfino adesso, in un periodo della sua vita che riteneva ormai quieto, senza più desideri. Sentire qualcosa dei propri pensieri rispecchiati in un altro pensare; desiderato, in qualche modo. Questo era un tornare a casa, sentimento perfino paradossale per lui, a cui sembrava di non aver mai avuto davvero una casa; forse proprio anche per questo nuovo, nuova emozione.
Si rendeva conto che fantasticava sulle cose che si erano raccontati con Irene, e quelle tantissime che ancora avrebbe desiderato raccontarle, come un ragazzino, un adolescente. Come uno dei suoi studenti, o forse di più. Loro gli sembravano solo sempre così tristemente dediti ai loro amati giochini elettronici…
Suonò il suo cellulare, l’ aveva lasciato in soggiorno. Non lo usava molto, la sua rubrica era piuttosto limitata. Una volta usciva spesso, alla sera, e allora era più facile che qualche amico chiamasse magari per una partita a biliardo. Silvia gli sporse il telefono, disse – E’ da casa di tuo padre, sarà la badante.
Era già successo in passato, con le altre badanti. Magari si presentava qualche problema di carattere domestico, come il cambio della bombola del gas, o la fine del gasolio nella cisterna per il riscaldamento. Un paio di volte invece era capitato che Giovanni si fosse sentito male, aveva avuto crisi respiratorie, e Sergio aveva dovuto organizzare il trasferimento in ospedale.
-Pronto?
-Sergio?.. Scusa il disturbo, sono Irene.
-Nessun disturbo, dimmi pure. C’è qualche problema?
-Veramente… sì. Da mezz’ ora manca la luce elettrica. E’ possibile che abbia fatto saltare io il contatore, accendendo il ferro da stiro mentre era in funzione la lavatrice. Solo che non riesco a reinserire la luce, anche azionando il pulsante del contatore. Mi dispiace perché Giovanni si è svegliato. Per fortuna ho trovato la torcia elettrica che mi ha lasciato Augusta, ma lo stesso non riesco a tranquillizzarlo, forse potresti venire un momento ad aiutarmi a risolvere la situazione?
-Certo Irene, arrivo tra pochi minuti.
Sergio spiegò brevemente la situazione a Silvia, che ne fu irrazionalmente infastidita. Non accettava mai di buon grado gli imprevisti, anche quando non dipendevano da lui.
Infilò il giaccone, afferrò sigarette e chiavi della macchina, e gli fu impossibile non ammettere con se stesso quanto, invece, lui fosse felice di quell’ imprevisto, che Irene lo avesse chiamato.

Michele Serri 14/08/2013 18:35 951

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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