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Il giorno dopo era una giornata tersa, insolita per quella stagione, e Sergio si recò a scuola con un particolare senso di fatica. Infatti, dopo le cinque ore di lezione nelle due terze, già pesanti, e dopo la breve pausa pranzo, avrebbe affrontato il primo colloquio generale con i genitori di quell'anno scolastico... un vero tour de force. In sé, non gli sarebbe dispiaciuto parlare con i genitori; ricordava che anni prima aveva a volte tratto anche delle soddisfazioni dal confronto con loro. Era un tempo in cui le persone erano più semplici, forse, con aspettative in qualche modo più pacate. Ora invece non era chiaro chi si aspettasse cosa, e da chi... Spesso madri e padri trasmettevano con aggressività un forte senso di frustrazione per i risultati scolastici dei figli, che sapevano vedere solo attraverso la lente dei voti che venivano impartiti dai vari insegnanti. Oppure si presentavano persone traboccanti di orgoglio, se si trattava di genitori di ragazzi dotati e con buoni voti. Ma, quasi mai, nessuno di loro si chiedeva, e chiedeva conto, di come stesse veramente il proprio figlio, o figlia. Se fosse contento di essere a scuola, se vivesse con qualche umana emozione l'imparare, o il rapporto con gli altri... Cosa importava alla maggioranza dei genitori, o almeno a Sergio pareva così, erano le possibilità di successo che si potevano intravvedere per i figli, come se gli stessi risultati scolastici si potessero quasi automaticamente tradurre in denaro sonante, o quanto meno in immediata professionalità spendibile di lì a poco. Sergio si accorgeva che i propri pensieri si insinuavano sempre più spesso in vicoli ciechi di quel tipo. Non riusciva più a credere che la sensibilità potesse migliorare, troppe cose erano successe in Italia perché si potesse sperare in una mentalità rinnovata nel senso di un entusiasta amore per la conoscenza, per le emozioni dell'uomo, per la sua storia. Per fortuna i ragazzi gli riservavano delle sorprese, ma quelle volte gli sembravano miracolose eccezioni alla regola... Anni prima il suo atteggiamento era stato diverso: erano gli anni in cui aveva lavorato con impegno insieme ad altri colleghi, avevano creato insieme dei progetti educativi articolati e complessi. Avevano fatto viaggi di studio di ambiente, a volte in città d'arte, a volte in montagna, o al mare. Erano riusciti a coinvolgere sezioni intere di ragazzi in veri lavori di conoscenza degli ambienti umani diversi dai loro: architetture, territori, culture. Quei tempi sembravano finiti per sempre. Tagli alle ore, tagli ai fondi spesa, colleghi trasferiti o in pensione, oppure precari infine lasciati a casa. La sua resistenza si era attenuata, ora lavorava solo, con se stesso e i ragazzi, ma sapeva che si trattava di una sconfitta. Anche perché quel senso di solitudine si era dilatato al resto della sua vita, e così pure la sconfitta. Quel pomeriggio, pazientemente si dispose ad affrontare le madri, spesso risentite per i voti piuttosto bassi che dall'inizio dell'anno aveva assegnato alla maggioranza dei suoi studenti, perché in generale l'impegno era piuttosto scarso. Ad un certo punto gli si presentò una bella signora giovane, vestita molto elegantemente, che gli ricordò di essere la madre di Giorgia. Giorgia, che con candore scriveva nei testi di festini e rapporti con ragazzi più grandi di lei. Cautamente Sergio provò a dirle che aveva notato una certa precocità nei discorsi e negli scritti della ragazza. Subito la signora si risentì - Non trovo corretto che le considerazioni di un insegnante esulino dal campo del rendimento scolastico -Per carità, signora, mi sembrava semplicemente che forse sarebbe stato utile, per la crescita di sua figlia, che ci confrontassimo su alcuni passaggi un po' inquietanti dei suoi scritti... -Io so benissimo cosa scrive e cosa pensa mia figlia, e non si preoccupi che ne traggo le dovute conseguenze per quanto riguarda i miei interventi educativi. La prego di limitarsi a rendere conto dei risultati che mia figlia riesce, oppure non riesce a conseguire. -Giorgia consegue dei risultati scarsi, semplicemente perché la sua fantasia e le sue risorse mentali sono assorbite completamente dalle sue vicende extra- scolastiche, in un modo che di gran lunga esula dalla norma della sua età... ma non mi dilungherò oltre, se lei non ha piacere che vi poniamo attenzione. Terrò per me le mie preoccupazioni per Giorgia. Sergio non si capacitava della rigidità e della chiusura di quella donna. Si chiedeva quali percorsi mentali potessero averla portata a quell'atteggiamento di diffidenza e di negazione della realtà. Ma non poteva farci niente, quel non- dialogo tra di loro non era altro che un nuovo esempio di come sia difficile entrare in un rapporto vero e vivo con le persone, anche quando si è armati della migliori intenzioni. La madre di Giorgia non voleva a nessun costo trovarsi ad ammettere uno stadio di difficoltà nella gestione della figlia, per motivi che non era dato capire, e basta. Il pomeriggio trascorse lento, tra mille parole; con qualcuno le cose andarono meglio; qualche giovane genitore dava ancora mostra di credere che la scuola, in sé, potesse essere una potenziale fonte di utile conoscenza e arricchimento, per fortuna. Ma Sergio era il primo a riconoscere quanto fosse facile rimanere delusi, dato l'andamento generale delle cose. Piano piano il pomeriggio passò. Sergio si scoperse veramente ansioso, quando con un grande sospiro di sollievo poté uscire e finalmente accendersi l’ agognata sigaretta, di andare a casa di suo padre. Aveva voglia di sedersi a quel tavolo, che ricordava di aver mille e mille volte detestato da ragazzo e anche da giovane uomo, per parlare finalmente un po' con Irene. Andò da loro, da lei. Dopo le giornate calde e soleggiate precedenti, quella sera pioveva un po', anche se la temperatura continuava ad essere mite. Quando entrò nella piccola cucina, fuori era quasi buio. Trovò cosa si aspettava, Giovanni sulla sua poltrona, semi- addormentato, Irene a sua volta seduta al tavolo, che leggeva. -Buonasera Irene, come va? -Bene, grazie, oggi è stata una buona giornata per Giovanni, non si è mai lamentato, mi ha perfino quasi sorriso una volta o due... -E per te, come è stata questa giornata? Irene allargò le braccia, come a dire "la mia vita è qui, cosa c'è da dire?" E proprio questo pensa, Irene. Lei non possiede una giornata veramente sua, ha accettato di vivere in funzione del benessere di qualcun'altro. Da pochi giorni, da quando ha portato fuori Giovanni in quelle brevi passeggiate approfittando del bel tempo, ha fatto conoscenza con un'altra donna, che fa il suo stesso lavoro, e che arriva dal suo stesso paese. E' accaduto grazie ad una bacheca appesa alla porta della parrocchia: una specie di "chi cerca cosa" aperto a tutti, usato come richiesta- offerta di lavoro, oltre che da molti extra- comunitari per segnalare ai connazionali la propria presenza in paese. Si è appuntata il numero di cellulare di quella donna che aveva messo il proprio annuncio per segnalare la disponibilità ad ore come colf in famiglia, e l'ha chiamata. Le ha detto che, se aveva tempo, potranno trovarsi per un caffè, e forse domani lo faranno. Un piccolissimo avvenimento, un contatto, che le ha dato la sensazione di una sua vita autonoma. Poi c'è questo senso indefinibile, forse di condivisione emotiva, che prova ogni volta, quando Sergio si ferma con lei e suo padre. Con lei. -Da casa hai buone notizie, tutto bene? Una volta, qualche giorno prima, avevano parlato della famiglia di lei. Irene aveva ricordato degli episodi di quando era giovane, della sua vita da ragazza, e poi aveva fatto dei riferimenti a suo marito. Non aveva raccontato molto, si sentiva in colpa a dire chiaramente che da tempo il loro legame era un semplice guscio rimasto vuoto. Forse il senso di colpa, di ambiguità, derivava dal non aver mai chiarito con certezza questo, con suo marito. In qualche modo aveva lasciato che la sua scelta di partire, pure obbligata da necessità pratiche, parlasse per lei, ma sapeva che non bastava, per considerare finito un legame. Questo valeva per il suo cuore, ma non era la prova che valesse anche per suo marito. Sergio le aveva chiesto: -Tuo marito ha accettato con facilità il tuo progetto di lavorare in Italia, la tua lontananza? - e si capiva che era molto attento alla risposta. -La lontananza, per noi, era diventata un'abitudine. Forse gli starò mancando per la vita pratica di casa, una donna manca sempre... Sergio non aveva commentato. Aveva pensato che alla fine è fatalmente così, per tanti: la compagnia che ci si fa nelle cose pratiche della vita, si mescola con troppa facilità alla compagnia delle emozioni e dei sentimenti, fino a confondere definitivamente una cosa con l'altra. A segnare la vittoria di una cosa, e la sconfitta dell'altra. -Sì, a casa sembra che vada tutto bene. Mio figlio deve aver trovato una fidanzata, ma io per il momento devo fare finta di non saperlo, queste sono le istruzioni di sua sorella, che però me l'ha detto perchè immaginava che mi facesse piacere... Sorride Irene, è sempre stata un po' in pensiero per l'indole solitaria di suo figlio, spera che l'amore possa scaldargli il cuore e la vita. Poi Irene mostra a Sergio il libro che sta leggendo: - Mi sono permessa di prendere questo, è breve e non troppo complesso, mi sembra, nell'italiano. Mi piace molto -Hai fatto benissimo, sono contento di aver lasciato dei libri qui, prendi cosa vuoi. Sergio lo ha preso in mano, è una piccola storia che, a volte, usa in classe, ai ragazzi piace, rimangono suggestionati dalla silenziosa paziente tenacia del pastore de "L'uomo che piantava gli alberi", di Giono. Anche lui ha sempre amato quella storia. -Qualche anno fa ho visitato la Francia del Sud, l’ alta Provenza, i luoghi dove Giono ha ambientato questa storia. Sono posti molto belli, in parte ancora selvaggi. Purtroppo in Italia mi sembra del tutto diverso. Guarda la nostra zona… tu la vedi ora, in un certo modo. Ti posso dire che era bella, quando io ero bambino era bella, e invece ora è bruttissima, completamente rovinata. Adesso c'è solo traffico ed urbanizzazione dappertutto e sembra un'immensa megalopoli, perché ormai neppure più i paesi si distinguono fra loro, tanto sono tutti uniti da cordoni di case. Un po' di bellezza forse la conserva la parte più montuosa, certo perché, essendo dirupata, si offriva meno a certi saccheggi. E da te, com’è? -Da me ci sono cose che sono rimaste semplici, la natura è stata rispettata, forse per via della povertà che non ha permesso che si costruissero grandi case, o troppe strade. Nelle città il discorso è diverso, si è costruito, tanto e male, quando tutti andavano a stare in città immaginando che là ci sarebbe stato lavoro e ricchezza per tutti. -La gente prende gli stessi abbagli in tutti i posti del mondo, a quanto pare. Irene gli sorride, poi forse le viene in mente che Sergio potrebbe trovare da ridire, sul fatto che lei impieghi parte del suo tempo a leggere. In fondo è, come Augusta, il suo datore di lavoro, anche se le riesce difficile vederlo così. Arrossisce lievemente all’ idea che lui possa pensare che lei sta approfittando di una situazione, così si alza, e un po’ a disagio dice: - Mi sono riposata un po’. In effetti la cena di Giovanni è già pronta, però pensavo di pulire un po’ le scale. Sergio la guarda sorpreso. Sa che tra le mansioni di Irene certo Augusta ha inserito le pulizie della casa, ma gli sembra strano che lei scelga questo momento, oramai è sera, per pulire. Poi intuisce il problema di lei, allora la trattiene per la mano, la fa sedere di nuovo. -No dai, è tardi per pulire, pulirai domani. Irene fa un cenno, come a dire “ d’ accordo”. -La “ santa” pulizia delle case… Nella mia vita ho trovato sempre donne che volevano pulire. Mi sembra che spesso ci sia un vero isterismo, per la pulizia. Non lo so, sbaglierò, ma penso sempre a quanto magari ci può capitare di essere sporchi dentro e a quanto c'importa d'essere puliti fuori. E’ un pensiero che ho sempre trovato così stridente. Quasi mi porta a una reazione estrema, perfino alla dissacrazione della pulizia. La penso come una specie di tabù, contro cui è vietata qualsiasi obiezione, e naturalmente “ nell'essere donna” è moltiplicato per cento. Si accorge che Irene lo ascolta attentamente. -Non è certo che voglia fare un “ elogio della sporcizia”, voglio solo dire come un certo “ culto della pulizia” sia, almeno per me, quasi maniacale, una malattia... Mia madre, pace all'anima sua, era una vera maniaca della pulizia. Viveva per pulire, e in parte per i fiori. Puliva sul pulito e mi ossessionava con quelle sue paranoie. Forse anche questo mi ha reso estremamente insofferente a questo modo d'essere. Per il resto era una persona super- fredda, priva di qualsiasi affettività. Da tempo penso che, con quelle sue manie, compensasse le sue incapacità nelle espressioni di affetto... Augusta le somiglia parecchio. Ma scusami, forse ti stanco, vengo qui e ti parlo solo di me, adesso smetto. Sergio sorride a Irene, ma vede nei suoi occhi che le fa piacere ascoltarlo. -Tu parli poco, dai, dimmi qualcosa anche tu Irene però si alza, è tempo di servire la cena a Giovanni. Lui, dal canto suo, ha già dato qualche segnale di inquietudine, sembra che non si accorga di niente, invece percepisce il sopraggiungere delle ore dei pasti con una precisione quasi svizzera. Proprio questo, sorridendo, dice Sergio -Non c’è mai stato modo di fargli saltare un pasto, a questo personaggio… ha sempre avuto fame, di vita e di cibo. Adesso gli è rimasto solo più il cibo, la vita è quella dei suoi ricordi. Chissà, forse in tutte queste ore di veglia così simile al sonno, si rivede tutti i suoi film… le donne che ha avuto, le sbornie con gli amici del bar, le notti in giro con la macchina. Di quelle volte che io, ragazzino, dovevo andarlo a recuperare in giro, perché mia madre mi ci mandava… Non c’è rancore, nella voce di Sergio, guarda suo padre come se per lui fosse tuttora un enigma, probabilmente è così. Irene ha messo a scaldare un paio di pietanze, ha apparecchiato il solito angolo di tavola per Giovanni. Non appare più molto sorpresa, ormai ha capito bene che i ricordi infantili di Sergio non sono quelli di una magica “ età dell’ oro”. -Non ti sentivi molto simile alla tua famiglia, tu… Sei cresciuto diverso, forse, da come ti volevano? Mi chiedo se sei tu che hai rifiutato il loro modo di essere, e mi sembra evidente, o anche ti sei sentito rifiutato tu… magari sono state entrambe le cose. E con Augusta, non eravate un po’ complici, nell’ affrontare i problemi con i vostri genitori? Sergio scuote la testa. -Per quanto mi sforzi di trovare cose positive dentro i miei rapporti familiari, non mi riesce… ma non è che con questo mi voglia compiangere, e dire “ oh povero me... me tapino...” No, Augusta è più grande di me di qualche anno, e non mi ha mai preso in considerazione, non so perché. E con mio padre… non so se per caso hai letto Kafka, quello di “ Lettera al padre”? -Sì, da ragazza l’ ho letto. Il professore di pedagogia ne aveva parlato molto, a lezione. Aveva un metodo di insegnamento innovativo per quei tempi, faceva grande riferimento alla letteratura. Sergio annuisce, si prende nota mentalmente di voler approfondire meglio gli interessi letterari di lei. Aveva pensato che fossero più elementari, e capisce ancora una volta quanto sia facile cadere in balia di pregiudizi -Di lettere che possono assomigliare a quella di Kafka, penso di averne scritta più d'una… -E tuo padre le leggeva? -No, non gliele davo, naturalmente. Diventavano il mio diario. Comunque molte mie situazioni erano spesso sovrapponibili, a quelle di Kafka con suo padre. Non credo che ci sia in me autocommiserazione, mi sono interrogato tante volte, su questo. Credo che sia semplice oggettività, almeno per quel che io ho coscienza di essere e giudicare. Comunque, magari ti sembrerà inconcepibile, già il fatto di usare le parole “ papà e mamma”, per me è stato quasi impossibile, praticamente dall’ inizio dei miei ricordi. Le sento stridere in me, o meglio non le sento proprio, non le ho sentite mai. Guarda che non intendo farne una colpa a loro, non più di tanto almeno. Sento l'incolpevolezza del loro agire in un certo modo, perché tutto accadeva dentro il groviglio di problemi della vita, dentro un certo tipo di cultura, diciamo pure molto arretrata. Della negatività di certe cose certamente la loro coscienza era a zero. E, comunque, forse una cosa bella l'hanno provocata, ammesso che sia bella… e cioè quella di rendermi così inaccettabile a me stesso, da costringermi ad uscirne fuori. In un certo senso mi hanno indotto ad attivare in me la scintilla del pensiero. -Cosa intendi? E’ difficile per me, adesso, capirti. -Sì, lo credo. Non so, voglio dire che a volte mi pare si dia il pensiero come qualcosa di scontato, che appartiene a tutti... Io non penso sia così, penso che perché sorga il pensiero serva una frattura - o una “ eredità di pensiero”, che è però sempre un pensiero meno prorompente di quello che può nascere da una frattura- che fa sì che una persona per così dire “ fuoriesca” da se stessa, e arrivi a un notevole grado di oggettività... ma tu starai pensando che sono completamente matto?.. Irene ha appoggiato i piatti davanti a Giovanni, e ora lo sta aiutando a mangiare, ma non ha smesso di seguire il discorso di Sergio, ha un sorriso un po’ incerto, partecipe, quando dice – Ci devo riflettere, sai, a quanto dici. Io credo di essere abituata a pensare, tu dici delle cose che un po’ mi sorprendono. Io poi, ho avuto una storia familiare molto più lineare della tua: mio padre e mia madre erano, sono, persone semplici, affettuose. Quando mi sono sposata sono andata a vivere distante da loro, li ho visti di meno, e posso dire che mi sono anche mancati. Credo di essere stata più fortunata di te. Sergio afferra al volo queste osservazioni di lei sulla propria vita, si rende conto che Irene parla di meno di quanto non faccia lui, e vorrebbe che lei si sentisse altrettanto libera, forse spera che lei desideri di esserlo, che anche a lei interessi. -Abitavate in campagna, con i tuoi genitori? -Sì, la mia famiglia è della Moldavia, la parte di questa regione che è rimasta alla Romania. Anche se molti miei parenti invece abitavano e abitano tuttora nella Moldavia che prima era russa, ed ora è indipendente. -Ho sempre pensato che mi piacerebbe visitare quei posti, ho sentito parlare dei monasteri ortodossi, deve essere una regione molto bella. -I paesaggi in Moldavia sono ampi, dolcissimi. Ci sono coltivazioni che formano lunghe strisce di verdi diversi, oppure grandi pascoli con poche mucche, molti cavalli. E poi si arriva alle montagne, che separano dalla Transilvania. Ci sono tanti boschi, poche costruzioni, si tratta di case piccole e povere, ma molto dignitose. E' lì che sono i monasteri ortodossi, e sono davvero dei gioielli di architettura e pittura murale, hai ragione a desiderare di visitarli. E’ molto intensa l’ atmosfera spirituale, anche se negli ultimi anni l’ aumentare dei visitatori un po’ ha cambiato questo. Bisognerebbe poterci andare nelle atmosfere autunnali, quando tutti i boschi diventano d’ oro… Sai, ti rivelo una cosa che magari non sai: ci si può sempre ritirare lì, in quei monasteri. Anche le donne, anzi, la maggior parte sono monasteri femminili. Lo si può fare in qualunque punto della propria vita, e con qualunque storia personale alle spalle, purché si dimostri che non si sta fuggendo per esempio dalle conseguenze di un fallimento. A Irene sfugge una piccola risata – Dalle mie parti mi pare che questa pratica ultimamente si sia diffusa parecchio, e perciò i controlli in questo senso dai responsabili dei monasteri si sono fatti più severi... Comunque, tornando al mio paese, la povertà si tocca e si vede. La società è bloccata, si sentono ancora le rigide conseguenze del regime, si fa fatica ad evolvere. E poi mancano un sacco di uomini e di giovani, e naturalmente anche noi donne, siamo tutte badanti, all’ estero. Non so come potrà avvenire un rinnovamento, al mio paese, è molto difficile, a meno che non si cominci a tornare. Suonerà strano, detto da me, che sono appena andata via. Ma d’ altra parte parlo per gente più giovane di me, io mi sento vecchia per queste cose. -Cosa dici? A me sembri una ragazza. E’ sincero Sergio, quando Irene parla con la foga di poc’ anzi, le vede una luce e una vitalità nello sguardo che gli fanno venire in mente qualcuna delle ragazzine a cui insegna, le rare volte in cui si accalorano sul significato di una poesia, di un brano di letteratura… Si accorge che è davvero tardi, sua moglie avrà preparato la cena, ne è già quasi trascorsa l’ ora, si rende conto di dover andare a casa e di non averne affatto voglia. E così quasi bruscamente si vince, si alza, saluta Irene e Giovanni, che come sempre appena gli fa un cenno, non sa nemmeno se è un cenno o un abbassarsi automatico del capo. -Ciao Irene, torno domani. -Arrivederci Sergio, grazie che sei venuto, a domani. C’è fiducia nella voce di Irene, Sergio pensa che lei, davvero, lo aspetti, ed è una sensazione molto dolce nel cuore. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.
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