Suor Benedetta decise, “dopo aver assistito a una rappresentazione teatrale, di dedicare la sua vita al Signore”: era giovanissima e l’ ombra inquietante del padre, ateo, veterocomunista e anticlericale, aveva accelerato la sua scelta di vita.
La madre era una donna devota e credente, ma assoggettata al marito da cui dipendeva economicamente, l'uomo infatti, aveva lavorato tutta la vita in Venezuela per sostenere la famiglia.
Appena la giovane entrò in convento prendendo il nome di Suor Benedetta, il padre la diseredò perché, per lui, era un disonore avere una suora in famiglia.
La giovane una volta entrata in convento, tornava al paese natio quindici giorni all’ anno, durante il mese di maggio o giugno, qui passava le sue giornate a pregare e a parlare in dialetto con gli abitanti del paese.
Il fatidico incontro tra Suor Benedetta e Gioacchino il bello, chiamato così perché era molto attraente, avvenne durante un assolato pomeriggio di giugno.
Gioacchino, giovane laureato e disoccupato, agnostico e perennemente incazzato con il mondo, stava leggendo “Il processo” di Kafka, quando vide per la prima volta Suor Benedetta: era raffinata anche nei gesti più semplici. Indossava l’ abito monacale con un’ eleganza che gli diede fastidio di primo acchito, perché strideva un po’ con la fede che professava, ma che in seguito le perdonò, poiché le parole che pronunciava erano semplici e arrivavano dritte al cuore.
“Sono tornata al paese per fare un rifornimento di autostima”, le disse la suora con una voce rassicurante.
Gioacchino il bello alzò gli occhi dal libro che stava leggendo e notò, con mal dissimulato imbarazzo, che le sue labbra erano carnose e i suoi occhi dorati.
Gioacchino evitava di guardarla negli occhi, ma l’ unica volta in cui i loro sguardi s’ incrociarono casualmente, entrambi lo abbassarono perché tradiva un reciproco interesse morboso e irresistibile. L’ uomo era fortemente attratto dalla sua sensualità e lei sembrava corrispondere all'interesse di lui, nonostante la sua vita stesse prendendo un altro percorso.
Nei giorni successivi, Gioacchino il bello imparò petit-à-petit a decifrare il significato segreto delle parole di suor Benedetta e tra i due s’ istaurò un inspiegabile feeling che si esplicitò tre giorni prima della sua partenza per il convento.
“La mia fede incrollabile nel socialismo mi aiuta a sopportare le ingiustizie del capitalismo!”, sentenziò Gioacchino il bello.
“Con il passar degli anni, Gioacchino, abbandonerai la pratica rivoluzionaria e abbraccerai i piedi della croce”, le disse la suora accarezzandogli la mano.
Suor Benedetta e Gioacchino coltivarono la loro amicizia, nel corso degli anni e impararono a conoscersi intimamente, nonostante i rumors che facevano di sottofondo alle loro conversazioni. Tuttavia, nessuno al paese osava spettegolare sulla strana amicizia soprattutto perché “ la suora parlava anche con le formiche”.
Fu durante gli ultimi giorni della sua permanenza del 2000 che Suor Benedetta gli sfiorò la mano.
Il leggero tocco l’ aveva sconvolto profondamente perché Gioacchino aveva sempre rispettato l’ abito che indossava e l’ aveva idealizzata al punto che non aveva mai pensato di poterla possedere.
Fu nel preciso momento in cui Suor Benedetta si allontanò dalla panchina, dove erano seduti, che si accorse che gli aveva dato un pezzo di carta arrotolato.
L'uomo aspettò che la religiosa si fosse allontanata, prima di leggere il messaggio:
“Ti aspetto domani alle ore 22. 00, all’ hotel Paradiso ! Ti ho già prenotato una stanza! ”
Gioacchino il bello conosceva quell’ albergo perché, durante un congedo militare straordinario di trentasei ore, ci aveva passato una notte, a causa di una forte nevicata che gli aveva impedito di tornare a casa.
Il giovane prese l’ autobus del pomeriggio, viaggiò per circa due ore, andò a zonzo per la città e, all’ ora stabilita, arrivò finalmente a destinazione. Entrò nella hall dell’ albergo, si rivolse a un portinaio con un paio di baffi enormi, che, dopo avergli chiesto la carta d’ identità, gli consegnò la minuscola chiave della stanza ventitré.
Gioacchino era incredulo che una love story del genere potesse capitare proprio a lui e sapeva benissimo che essa doveva rimanere un segreto da portare fino nella tomba. Inoltre, qualora lo avesse detto in giro, nessuno gli avrebbe creduto, data la buona reputazione di Suor Benedetta.
Entrò nella stanza d’ albergo, si fece una lunga doccia e aspettò pazientemente sul letto, sfogliando un giornale sportivo.
Verso mezzanotte, un leggero ticchettio sulla porta, risvegliò Gioacchino, che nel frattempo si era quasi assopito. Si alzò, indossò frettolosamente l'accappatoio fornito dall’ albergo e aprì lentamente l’ uscio. Rimase senza parole perché Suor Benedetta era irriconoscibile: il pigiama a fiori che indossava le dava un’ aria da birichina. L’ aveva sempre vista vestita da suora, per cui rimase sorpreso quando scoprì che i suoi capelli sciolti, che adornavano il suo viso angelico, erano quasi biondi.
“ Non rimanere fisso come un palo e fammi entrare, per favore! Non vorrei che qualcuno mi riconoscesse!”
Gioacchino la fece prontamente entrare nella camera, la spogliò in un batter d’ occhio, la baciò appassionatamente sulla bocca e la buttò sul letto. La donna era di una bellezza mozzafiato e l’ uomo accarezzò ogni palmo del suo corpo con delicatezza e passione.
Fecero l’ amore fino a quando Gioacchino, stremato ma appagato, non si addormentò beatamente tra le braccia di Suor Benedetta, che gli accarezzava amorevolmente una ciocca ribelle di capelli che gli copriva la fronte.
Gioacchino si svegliò verso mezzogiorno, aprì improvvisamente gli occhi e cercò Suor Benedetta: il posto dove si era addormentata era vuoto, ma sentì ancora nell’ aria il profumo della sua pelle.
L'uomo non rivide mai più Suor Benedetta ma seppe, qualche anno più tardi, che si era spogliata, come dicono ancora al paese quando una religiosa abbandona il velo, e che si era sposata con un ricco industriale tedesco e che era andata a vivere in Svizzera.
Gioacchino non rivelò mai a nessuno il suo segreto, ma quando tornava al paese natio, cercava inutilmente tra gli alberi della pineta la sagoma di quella suora che riusciva “a parlare anche con le formiche”.