La sala del bar puzzava di caffè, sudore , alcol , due uomini giocavano a biliardo aumentando l'odore col fumo di grossi sigari accesi , bevevano whiskey senza ghiaccio.
Il ragazzo stava seduto in un angolo e si scostava i capelli biondi dalla fronte in maniera ossessiva.
Accendeva una sigaretta con quella che stava spegnendo e non alzava mai gli occhi dal boccale di birra.
I giocatori di poker bisbigliavano e fumavano nella saletta dietro a una pessima tenda a perline, d’ un viola sbiadito, antico.
Il bar invece era stato ristrutturato da poco, male e a pochi soldi.
Quella sera la gente non entrava come al solito e la pioggia di gennaio, non può essere che fredda e negativa.
Alla radio davano un blues molto lento che fermava in foto scatti le facce losche dei due uomini al biliardo e l’ attesa ansiosa del ragazzo al tavolo nell’ angolo.
Barbe di giorni e profili da camionista, uno rossiccio occhi verdi, l’ altro pelato e grasso, con un pizzo arcigno e uno sguardo anche peggio.
Le palle sul tappeto verde rotolavano precise verso le buche, mentre i due uomini avevano gli occhi sempre piu’ spenti e biascicavano sottovoce insulti e sorrisi.
Il ragazzo estrasse l’ orologio dal taschino della camicia rossa, un pezzo strano, una cipolla d’ argento di fine ottocento, lucida e brillante e dal sapore antico, incisa a mano, pregiato per un pischello.
I due al biliardo continuavano a giocare.
La barista era stanca, pensierosa.
Fissava il pendolo alla parete sopra la porta d’ entrata e sembrava non veder l’ ora di finire il turno .
I suoi capelli puzzavano di fumo e dell’ aria umida del locale, era freddo fuori ma il vapore della gente e dei termosifoni rendeva soffocante e afoso il clima del bar.
Alle dieci meno un quarto entrò un magro ometto sulla settantina .
Aprì la porta cercando di non farsi notare, con un movimento lento, cercando di non far stridere i cardini , sforzandola un po’ verso il punto dove il gioco è maggiore.
I due uomini al biliardo smisero di ridere e il ragazzo mise in tasca l’ orologio.
Nella sala da poker il tavolo verde si era svuotato.
I sigari fumavano in un posacenere al centro.
L’ ometto si tolse il cappello a tesa inzuppato di pioggia e mise l’ ombrello chiuso nel portaombrelli di rame accanto alla porta.
Striscò le scarpe sul tappeto di paglia in entrata quattro volte, tre il piede destro e una sola il sinistro.
La ragazza all’ arrivo del vecchio cambiò espressione .
Mentre la porta si apriva il suo viso prese un colorito giallastro, poi, a metà corsa e dopo tre profondi sospiri cambiò colore sfoggiando un gran sorriso e ammiccando.
Il vecchio si avvicinò lentamente alla barista .
La ragazza vide quel collo grigiastro e raggrinzito allungarsi verso il suo viso, e quelle labbra secche e violacee sporgersi tremolanti, lei le porse la guancia e lui le appoggiò un bacio disgustoso.
Poteva percepire il puzzo del suo alito, qualcosa che veniva dal fondo dello stomaco, odore di morte.
“ Buonasera” disse l’ uomo con voce stridula e decisa.
Il rosso con gli occhi verdi estrasse un’ agenda dalla tasca interna del giubbotto di pelle e la allungò al socio che la guardava con diffidenza, annoiato.
I due lo scrutavano senza mai incrociare i suoi occhi.
Lunghi secondi dopo il saluto dell’ uomo venivano scanditi da poche note di basso, di un blues che oramai sembrava non finire mai.
Il vecchio ordinò un whiskey con ghiaccio e si sedette al tavolino del ragazzo, tirò fuori dalla tasca un portacipria d’ oro e un piccolo specchio.
Stese una riga di cocaina sullo specchio e l’ aspirò dal naso con una cannuccia d’ argento che teneva in un anello che portava al dito mignolo della mano sinistra.
“ Dimmi”
Disse rivolto al ragazzo.
Il giovane prese un foglio di carta, con un mozzicone di matita scrisse in fretta qualcosa, poi girò il foglio e lo spinse fino al vecchio.
Allucinato l ‘ uomo prese con due dita magre e lunghe il biglietto, lo lesse furtivamente dondolandolo fronte e retro in faccia al ragazzo.
“ tu non parli eh?”
Disse stizzito.
I due uomini sembravano non dar bado alla scena, continuavano a giocare, l’ agenda era sparita, la barista portava un altro giro di bourbon.
Il giovane spense la sigaretta nel posacenere di ferro ormai stracolmo e voltò lo sguardo verso la ragazza.
Il vecchio sembrava non dar bado a niente e fissava quelle poche righe sul foglio di carta.
Pulì lo specchio con una sigaretta leccata e l’ accese.
“ Io vorrei parlare ma tu non parli”
Sibilò al ragazzo che sembrava perso in un altro mondo
“ Tu mi sfidi”
Disse con gli occhi iniettati di sangue e le pupille sbiadite e lucide.
Il biondo prese un altro foglietto bianco dal taschino della camicia rossa e scrisse con il tozzo di matita qualcos’ altro .
Come prima lo girò allungandolo al vecchio.
La barista guardava furtiva la scena asciugando bicchieri, di tanto in tanto lisciandosi i capelli neri e sbirciandosi riflessa nell’ acciaio del banco del bar, illuminato da luci surreali, in un locale fumoso e fetido.
Tastava qualcosa sotto il bancone, nervosamente, il vecchio sembrava essersi accorto di qualcosa.
I pensieri nelle teste dei presenti si facevano sempre piu’ confusi, il blues andava sfumando e lo speaker sussurrava sottovoce il titolo di un’ altra canzone.
Il vecchio sembrava spaesato, gli occhi fuori dalle orbite e le vene che pulsavano sul cranio pelato e macchiato dall’ età, ormai rosso e furente.
Iniziò a lisciarsi le mani sul torace mostrando nel taschino della camicia verde la sagoma rettangolare di un telecomando con una lucetta che lampeggiava.
La barista si abbassò fulminea dietro al bancone.
I due uomini al biliardo tornarono improvvisamente sobri e lucidi.
Dalla porta entrarono quattro ceffi armati, senza sparare, la ragazza sbucò dal bancone freddandoli in serie con una pistola col silenziatore.
Il biondo sfilò fulmineo un coltello da dietro la schiena e lo affondò nel collo del vecchio, senza esitazione, come le note piene della canzone che stava iniziando.
I due uomini al biliardo frugavano nel cadavere del vecchio. Il ragazzo puliva la lama che gli aveva appena estratto dal collo.
Il suo puzzo si era fatto davvero insopportabile.
La ragazza scavalcò con un balzo il banco del bar, mise la pistola dietro i jeans e prese un paio di forbici da giardino dalla cintura, si diresse verso il vecchio, prese la sua mano destra e gli tagliò il pollice, lasciò cadere la mano mollemente a terra e si scagliò sulla sinistra tagliando il mignolo con l’ anello.
Mise le dita nelle tasche dei jeans, destra e sinistra e gettò a terra le forbici insanguinate.
Il vecchio rantolava in un pozza di sangue, lo specchio e il portacipria erano spariti, non aveva nemmeno piu’ le scarpe.
Il ragazzo chiuse la saracinesca del bar e incrociò gli occhi azzurri della ragazza.
Lei si tolse la parrucca e si diressero assieme nella stanza delle slot .
La spinse contro la parete e la baciò sulle labbra amare d’ adrenalina, la donna lo strinse per un attimo infinito e dietro al bacio mostrò al giovane una chiave.
I due uomini attendevano annoiati davanti la porta chiusa e la saracinesca abbassata.
In silenzio.
Nel locale volava un'atmoafera lugubre ma i due, immobili, sonnecchaivano impassibili, in mezzo a cinque morti e a un bottino di pochi spiccioli.
La chiave apriva una porta dietro a una piccola credenza in legno del retrocucina.
I ragazzi scesero una scala ripida in pietra .
La cantina emanava odore di muffa ma lungo scale si udiva una musica jazz e un vociare allegro.
Finite le scale iniziava un corridoio in mattoni rossi, in fondo si vedeva una porta in bronzo, cesellata con figure che, avvicinandosi, si facevano sempre piu’ minacciose.
I due si tenevano per mano e arrivati al portone udirono la musica e le voci ormai in maniera distinta .
Il tempo in quel tunnel era praticamente assente, veloce e lento, irreale.
Le luci al neon sfarfallavano chiare, creando un effetto strobo in perfetto e armonioso contrasto con la musica al di la del portone.
La ragazza estrasse il pollice insanguinato dalla tasca destra macchiata di rosso e lo appoggiò su un sensore a fianco al portone.
Si aprì a fianco uno sportello che svelava una specie di disegno al negativo, prese il dito mignolo dalla tasca sinistra, tolse l’ anello e lo accomodò nella fessura.
Il portone fece sei scatti e si aprì rumorosamente mostrando una grande sala concerti, un teatro immenso che sembrava appartenere a un altro posto.
Su un grande schermo stavano proiettando un film in bianco e nero, la musica calda e l'emozione li scaraventò in un vortice di spensieratezza.
I ragazzi si sedettero su una poltrona, abbracciati e sognanti, si baciarono fino alla fine del film.
I due uomini davanti alla porta si erano seduti a terra e giocavano a carte in silenzio, con un mazzo sgualcito.
I giovani avevano trovato una cassetta, dove sta il gobbo sul palco, dentro c'era piu’ di quanto si possa spendere in una vita, oro, diamanti, contanti.
Salirono a portare la parte del bottino agli scagnozzi, questi incassando piu’ del pattuito uscirono dalla porta sul retro, bisbigliando.
I ragazzi tornarono in cantina, si chiusero a chiave nel teatro, fecero l’ amore fino mattina.
Lo schermo nella sala mandava solo la luce e qualche macchia nera della pellicola, l’ aria sembrava essere profumata di viola, le poltrone rosse avvolgevano il piacere dei due amanti e il viso della donna era sereno .
Lui guardava il suo corpo sensuale alzando lo sguardo soltanto per incrociare i suoi occhi lucidi e azzurri.
Nella sala nessuno sentiva il gemito degli amanti, l’ unico suono ovattato, nel grande teatro.
Si addormentarono tra due file di sedili, accarezzandosi i capelli.
Il sole era alto quando, salendo sulla moto, con uno zaino pesante sulle spalle, presero la strada.
Il fuoco era stato appiccato nei punti giusti e in fondo avevano tempo e si poteva anche andar piano.
Mentre la moto si allontanava sullo sfondo nella nebbia del mattino le fiamme stavano bruciando il teatro, salivano alle slot, alla sala da bar, lambendo il tappeto verde del biliardo e i tavoli, e il bancone, fino ai cadaveri d’ un vecchio e quattro gorilla armati fino ai denti.
Tra le nuvole di fumo nero e denso due fogli scritti a matita svolazzavano nel crepitio delle fiamme, furono gli ultimi a bruciare, poche parole:
”IO NON PARLO ”