Conobbi Mister Flick una sera di Giugno mentre passeggiavo al Vomero, quartiere ricco della collina Partenopea. Quel giorno di Giugno, come le tante sere dell’ anno il cielo era sporco di un pallido bianco colore. Qualcuno che alzava gli occhi mirando in alto, diceva che era una condizione meteorologica che permaneva oramai da qualche tempo e per questo motivo, non ci rimaneva a noi tutti, di abituarci a non vedere più stelle e il manto imbrunito del cielo. Immediatamente sentite queste parole, mi ritrovai a osservare il cielo di una pellicola vista tanto tempo prima al cinema. Il cielo che vedevo nella mia mente era quello, quello del famoso film diretto da Ridley Scott del 1982: “ Blade Runner ” Ci mancavano nel cielo, solo le navicelle spaziali e l’ intrigante grigio che accompagnavano le scene.
Era così, il cielo di quella sera e di tante altre sere… Tornando a mister Flick, vi devo dire che lo conobbi per caso vicino a un supermercato del quale non faccio il nome, per ovvia censura di pubblicità. Stava vestito male, aveva la barba incolta e le unghie nere. Cercava la carità seduto su di un vecchio cartone segnato dal tempo, aveva i piedi scalzi e la pelle tirata dal tempo. I piccoli occhi brillavano di un’ insana luce. Parlava da solo. Con attenzione stetti ad ascoltare cosa dicesse, Oh… esclamai, quando con meraviglia sentii venire fuori dalla sua bocca versi di poesie. Mi avvicinai, curioso, gli chiesi dei versi che pronunciava. Aveva parte della mia anima poetica, mi apparteneva, come si appartengono tutte le radice della stessa pianta. Mi raccontò parte della sua storia e della sua miseria. Mi disse che si era ridotto a vendere con dignità versi di poesie per la strada a cinquanta centesimi, versi, che in tempi prosperi passati componeva per diletto nella sua casa venduta poi all’ asta. Era diventato povero improvvisamente, la moglie l’aveva abbandonato e i figli non si curavano affatto di lui. Mi chiese se volevo ascoltare qualche sua poesia, me lo chiese come un bambino dagli occhi scintillanti che attende la piccola felicità del momento. Con un cenno gli dissi di decantarmeli. A voce bassa, il Sig flick, quasi con il pianto di dentro cominciò a verseggiare: “ E' come la notte dolore,
buia notte senza luccichii di luci.
Si raccoglie nell'angolo grande della dimora.
Scaccia via il bambino in festa.
Muove lentamente il passo restando poi in attesa di muovere l'agguato.
Come piombo,
legato alla lenza
scende tra i flutti del nostro mare
restando in attesa di divorar sorriso.
E, a nulla vale pensiero allegro
per scacciare via il muto intruso.
Amara medicina dolore,
apre la porta da prepotente
e non la chiude, se non passa tempo”
Mi commossi ascoltando i suoi, i miei versi.
Nel frattempo, il tempo in quell'ascoltare versi passò in fretta, dovevo tornare a casa,mio figlio mi attendeva per cenare. Salutai con un abbraccio forte il Sig. Flick, gli misi nella tasca della giacca venti euro, gli promisi che sarei ritornato presto a trovarlo e lo avrei invitato a cena nella mia casa. Mi salutò come se fossi uno di famiglia…
Passarono delle settimane, decisi di andarlo a trovare. Misi in una scatola molti abiti che non indossavo più da qualche tempo, feci una piccola spesa per Sig. Flick, tra le varie cose comprai anche una scatola di cioccolatini rivestiti di cioccolato fondante. Arrivai al vomero dopo un’ ora di tempo, in quella zona il traffico è infernale, per trovare un posto macchina dove poter posteggiare passò del tempo, era, ed’è tuttora un’ impresa poterlo fare. Presi il tutto dalla macchina compreso i deziolisi cioccolatini rivestiti, e mi avviai. Il cielo come sempre, anche in quel pomeriggio era sporco di un grigio Runneriano, e una polvere sottile veniva giù dall’ alto. Arrivai a passi svelti dal Sig. Flick, avevo tanta voglio di vederlo sorridere. Quel giorno non lo trovai, con tristezza tornai indietro tra il fumo del tempo. Mi proposi di ritornarci poi passato qualche giorno. Tornai di nuovo un venerdì piovoso. Gli ombrelli da riparo coprivano la visuale del tutto. Non trovai Sig. Flick, chiese con insistenza alla cassiera del negozio, notizie. Non mi seppe dir nulla a riguardo, decisi di andarmene, la pioggia cominciava a cadere piano bagnando la strada. Mentre uscivo dal supermercato, una voce in lontananza mi chiamò, evidentemente la persona che mi chiamò, aveva ascoltato da qualche parte il mio cercare qualcuno. Mi chiese chi cercavo, ed io gli risposi che cercavo il poeta. Lei, sulle prime non intese, ma poi tornata in se, mi raccontò della scomparsa del Sig. Flick. Mi disse che era morto da dieci giorni, che era stato ricoverato all’ ospedale dei Pellegrini alla Carità per una polmonite virale. Anche Lei gli voleva bene e pregava ogni giorno per la sua anima. Gli dissi di seguirmi fino alla macchina, mi raccontò della sua vita e dei suoi dolori. Arrivati dopo un lungo silenzio alla macchina gli diedi la scatola con gli abiti e la spesa fatta quel giorno per il poeta. Lei, mi ringraziò di cuore, quasi mi voleva baciare la mano, gesto che io censurai immediatamente. La salutai con piccolo abbraccio prima di salire in macchina. I suoi occhi divennero improvvisamente lucenti come quelli del Signor Flick: “ Luci in uno spento ignoto cielo “ Sparì tra la folla del mai più ci rivedremo, mentre il cielo sporcato dal colore grigio bianco piangeva.
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