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Una vita di nome Sara

Dramma

Quella mattina Sara, proprio non se la sentiva di alzarsi dal letto; certo non si poteva dire che stesse male no, ma la sua mente le impediva di essere presente, di dedicarsi a tutte quelle cose in cui normalmente era solita prodigarsi. Era come inerme di fronte a quel dolore, quella confusione, un periodo della sua vita che sembrava non offire uno spiraglio di luce. I suoi muscoli erano come imbrigliati in una disarmante paralisi, il suo cervello troppo pieno. Era vicino ai 40 anni ed era sola. O almeno così si sentiva. La sua famiglia praticamente inesistente; aveva perso la madre quando ancora sedeva tra i banchi delle elementari e il rapporto con il padre era stato sempre molto complicato. Lui non aveva mai compreso quale fosse la maniera appropriata per guadagnarsi il rispetto, la giusta considerazione e deragliava in un inconsapevole abuso: la violenza verbale, quella nelle parole, delle parole, con le parole. La sorella maggiore poi, lei davvero non aveva mai avuto un ruolo di rilievo nella sua vita. Una presenza inconsistente e impalpabile. Certo Sara lavorava, un lavoro che non era affatto male e che le garantiva una vita decorosa ma non lo aveva realmente desiderato, lo aveva rimediato così, per mera casualità. E poi la scelta più rovinosa che mai avesse potuto mettere in atto: il matrimonio. Sara si era sposata per sfuggire a quella spirale di violenza che il padre stesso aveva generato ma in definitiva non aveva fatto altro che modificare le sembianze del suo carnefice che adesso vestiva i panni del consorte. Ed era una violenza talmente simile, talmente sovrapponibile a quella per lungo tempo inflittale dal padre, che Sara maturò per anni la convinzione che dopo tutto fosse giusto così. Era solo e soltanto quello il tipo di amore di cui poteva essere degna. Pensava che in fondo in questo si riassumesse il senso della vita e non poteva esserci un modo differente di esistere.

Tutti i suoi sogni, le ambizioni, le aspirazioni, erano state spazzate via come in un turbine di vento, come quelle brezze d'estate che all'alba di una mattina ancora tiepida, si affannano a ripulire il cielo da ogni scampolo di nuvola. Ma il cielo di Sara era tutt'altro che limpido.

Si alzò dal letto, rimase seduta per qualche istante con le lacrime che sgorgavano copiose, come un fiume impetuoso che si getta nel mare. I pugni chiusi, avversi a una rabbia devastante. Non voleva stare così, voleva reagire, alzarsi da quel letto, ma più di ogni altra cosa voleva uscire da quel frangente. Ci stava provando con tutte le energie residue, ma erano ben poche. Aveva trovato la forza di parlare con suo marito, di dare sfogo a tutto il suo malessere e provare a rivolgersi a lui senza avere timore di subire una reazione spropositata.. Tremava mentre gli diceva tutto ed era pronta a sottomettersi ancora una volta perché era quello ciò che negli anni aveva sempre fatto: soggiacere. Passivamente e rassegnatamente soggiacere. E invece, inaspettatamente, il marito crollò in un pianto disperato. Sara non l'aveva mai visto così. Non aveva mai pensato di dover far fronte a una simile situazione. Rimase sbalordita. Si sentì in colpa. Gli stava facendo del male, quello stesso terribile male che egli aveva inflitto a lei. E Sara non voleva essere come lui. Così ebbe un attimo di esitazione e pensò che forse non sarebbe riuscita ad arrivare fino in fondo. Pensò che non sarebbe stata in grado di lasciarlo perché non avrebbe mai potuto accettare di scorgere in lui quel dolore che gli stava ella stessa cagionando. Ma comprendeva benissimo che la vita che stavano conducendo, era profondamente sbagliata. Per entrambi. I giorni passavano, scanditi da una lentezza surreale. Sara si sentiva stanca, i suoi gesti, erano movenze letargiche e la sua mente non riusciva a concepire un pensiero positivo. Vedeva il trascorso della sua vita e si sentiva morire, vedeva il suo presente e si sentiva già morta. Un giorno la incontrai per caso, aveva lo sguardo assente, perso nella nebbia di quei vicoli fumosi e stretti, della città.La salutai e la fermai per domandarle come si sentisse ma senza che io ne comprendessi a fondo la ragione, all'improvviso scoppiò in un pianto a diritto. Forse, pensai, nessuno fino a quel momento si era mai preoccupato di farle questa domanda, nessuno si era mai degnato di chiederglelo. Parlai un po' con lei e mi raccontò della sua vita. Io e Sara non ci conoscevamo intimamente, ma quel giorno lei cercava un amica, cercava un abbraccio caldo, una parola di conforto. Ed io ero li. Stavo familiarizzando con una Sara che non avevo mai visto, lei si fidava di me, ed io ero orgogliosa di quella fiducia che mi riservava. Voleva adoperarsi con ogni cellula del proprio corpo col solo intento di venir fuori da quella condizione. Stava cercando di sovvertire il suo essere e quella sua vita. Ma era difficile. Era tutto cosi tremendamente difficile. Una mattina, mentre mi accingevo a terminare la mia estenuante parentesi lavorativa, ricevetti una chiamata che letteralmente mi sconvolse: l'ospedale, l'ospedale mi comunicava che Sara era stata coinvolta in un terribile incidente. Ed era grave, molto grave. Corsi da lei . Era stesa su lettino in fin di vita. Trascorsi giornate interminabili, standole accanto, pregando per lei. E tutto fino a quel giorno. E quel giorno ero li, seduta sul bordo, in un silenzio che pareva irreale. Ma lei mi sentiva, come se annusasse la mia presenza, sapeva che le ero li. Si voltò verso di me e con un filo di voce sussurrò "ti prego, non lasciare che la vita ti stanchi" Poi sorrise e socchiuse dolcemente gli occhi, per sempre. Ancora adesso, non riesco a trattenere le lacrime quando penso a quell'ultima frase, a quelle ultime pesantissime parole. Ora posso dire che Sara per me è stato un Angelo, il mio Angelo. Mi ero persuasa di essere stata io ad averla accompagnata in quel momento difficile della sua vita, in realtà fu lei a cambiare per sempre la mia. Furono la sua forza, la sua consapevolezza, la sua fragilità e al contempo la disperata voglia di vivere, nonostante tutto. E ora devo finire quello che lei ha iniziato.


morena 08/04/2013 09:25 1082

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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Il primo racconto pubblicato:
 
L'alba di un giorno (26/03/2013)

L'ultimo racconto pubblicato:
 
Le Stagioni della Morte (14/10/2013)

Una proposta:
 
Il Senso della Vita (03/05/2013)

Il racconto più letto:
 
Le Stagioni della Morte (14/10/2013, 1990 letture)


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