Ragazzi appena sbocciati, ancora acerbi e pieni di speranza.
Come ogni anno, con la famiglia, allora si usava così, a 14 o 15 anni non potevi andartene per conto tuo, e l’estate si passava tra il fare salamandre al sole e qualche gelato nella pineta, i più grandi se ne andavano la sera a ballare alla Nave di Fregene e da fuori, noi ragazzini, bruciavamo di invidia
Erano già sei giorni che a un metro di distanza ci guardavamo, qualche timido sorriso, ogni tanto un tuffo in acqua per mostrare i muscoli che non avevo, qualche commento sui bagnanti, poi sotto gli ombrelloni, mentre la radio mandava malinconiche canzoni, passavamo la maggior parte del tempo a coltivare la comune passione, il disegno.
Entrambi, su un asciugamano, con il nostro album poggiato sulle gambe incrociate, le due sdraio disponibili erano proprietà privata dei genitori oppure dei fratelli più grandi, sfornavamo creature in bianco e nero un po’ fantastiche ma più spesso a immortalare con irriverenza lo spettacolo noioso che si offriva ai nostri occhi, illustrazioni ombreggiate nonostante il sole cocente, qualche curioso alle nostre spalle ci riempiva di orgoglio con complimenti fatti prima ai genitori, tipo: “in gamba il suo bambino eh?” e quel “bambino” era peggio di una coltellata, poi, però, quella paccata sulle spalle accompagnata dal solito “bravo farai strada” riempiva di soddisfazione e arrossava il nostro viso.
La mattinata passava nella solita routine, poi all’improvviso un’idea: infantile, ma rivelatasi efficace: ”dai facciamo una gara? Proviamo a rifare il viso di quella ragazza bionda”
Jole rimane stupita, temo capisca la vera ragione della mia proposta, sorride, mi guarda dubbiosa, spero anche che magari sia un po' gelosa, mi assale il timore che mi dica “che cretinata”, ma poi acconsente.
Sono euforico, ho lanciato la sfida così, d'impulso, ma mi rendo conto che ho finito i fogli da disegno, la guardo smarrito, incapace di sostenere i suoi occhi, lei in un nuovo sorriso, che fa aumentare le gocce di sudore che imperlano il mio volto, mi cede l’ultimo foglio del suo blocco, “io disegno direttamente sul cartoncino di fondo” mi dice fingendo di non accorgersi del mio rossore, o forse sì.
Mezz’ora e la gara è già finita, speravo durasse molto più a lungo, devo riconoscere che il suo ritratto è molto più somigliante del mio, “bello”, esce contemporaneamente dalle nostra labbra, il giudizio al disegno dell’altro, in cuor mio la ringrazio di non aver espresso altre parole che avrebbero aumentato e sottolineato il mio disagio.
Decidiamo di scambiarsi le nostre ultime fatiche artistiche, le mani si sfiorano per un attimo in questo passaggio, rimangono come paralizzate, sospese a mezz’aria, una vampata sale sui nostri visi, il cuore si ferma, eppure, corre impazzito, per noi è uno scambio di anelli, i nostri volti lentamente si avvicinano, e un bacio, un semplice innocente bacio sulle nostre guance arrostite, sancisce la nostra promessa.
Altri quindici giorni è durato questo mio primo grande amore, una fiamma perpetua nei nostri cuori, emozioni “sballanti”, il cuore che spingeva il sangue in un vorticoso rally nelle arterie che sembravano scoppiare da un momento all'altro.
Ogni tanto una fuga nell’acqua del mare ci consentiva una relativa “privacy”, ma eravamo costantemente sotto lo sguardo vigile, soprattutto di sua madre, che ogni tanto parlava con la mia, ma non riuscivamo a capire se appoggiavano o meno la tempesta scatenata nei nostri giovani cuori.
Un giorno finalmente, le nostre labbra erano riuscite ad unirsi, in un momento di tregua per un caffè dei nostri genitori, noi essendo ancora troppo giovani per poter bere quel benedetto complice caffè, eravamo rimasti in disparte, sotto gli ombrelloni, nascosti dalle sdraio, avevamo assaporato il gusto meraviglioso di un bacio durato pochi interminabili secondi, avevamo finalmente rubato la felicità al tempo.
Poi anche quell'anno tutto finì, ci scambiammo i numeri di telefono ripromettendoci di risentirsi, l'accordo, o forse solo la speranza tacita di continuare a volare insieme, e con un ultimo bacio sulle guance, sotto il sorriso compassionevole delle mamme ci siamo salutati.
Ciao Jole, chissà dove sei finita, me lo domando ogni volta che riguardando quel ritratto un po’ sbiadito ritorno a quella estate rovente di quasi mezzo secolo fa.
E' proprio vero che il primo amore non si scorda mai.