Passeggiavo con le mani in tasca.
Fumavo pensieri che si materializzavano in immagini. Percorrevo ogni vicolo e strada dentro di me. Come un pescatore, attendevo che una nuova idea abboccasse alla lenza del raziocinante e si trasformasse in azione. Ero stanco delle solite cose che masticavo da sempre, del sapere pratico, del comprendere il razionale precostituito e della realtà che mi si presentava non avversa, ma oscura e sempre uguale senza divergenze di linee, di parallele e di punti. Volevo che tale realtà cambiasse a ogni costo, ecco il mio fumare nervoso e ossessivo, incessante, tale era da rendere le mie dita di colore giallo per la nicotina che colorava la pelle dei miei artigli. Aspiravo pensieri dal pozzo profondo che si collegava giù, fino al cunicolo del primo vagito emesso all’iniziale respiro, fino al primo osservare il mondo con i suoi colori e le sue immagini sfocate. Comprendevo bene ciò, di questo momento insolito e diverso dal sempre, ora nel preciso istante che passeggiavo tra anfratti e vicoli che non portavano a nessuna piazza. Il mio stato di malinconia perenne era questo non raggiungere l'agorà centrale, eppure ne avevo fatta di strada. Dovevo necessariamente cambiare il mio essere uomo, il non ridere quasi mai, così come lo starmene sempre o quasi in disparte dalla gente e dalle persone, tutto ciò mi portava in terre aride, pianure senza cibo e senza stimoli. Sì, davvero, ero diventato col tempo un solitario, un misantropo, mi arroccavo dentro il nido del corpo, uscivo solo per un piccolo pasto frugale, proprio come fanno alcuni animali da tana:"Escono dal proprio rifugio, si guardano impauriti in giro, poi, cercano cibo e una volta che lo hanno trovato si ritirano nella loro protezione materiale o utero accogliente". A differenza di ciò, il mio essere animale usciva dalla tana semplicemente per trovare un pezzettino di spiritualità, solo quel tanto che bastava ad accendere il fuoco dentro, per sentirmi vivo. Questo accadeva a tratti, certo il cibo che riuscivo a racimolare scarseggiava c'era poca grazia fuori e se non fosse stato per quello che già possedevo:"cibo molto ricco e sostanzioso, procuratomi tempo prima di arrivare a questo provare, sarei morto di fame e forse di stenti”. Mi aiutava a rimanere in vita questo cibo, soprattutto, mi aiutava il dovere di essere padre, e quello di salvaguardare mio figlio da ogni male, sia esso psichico che morale, il piccolo aveva perso in tenera età i seni che lo nutrivano. Mi aiutava molto anche un Angelo speciale che incontrai tempo indietro. Lo incontrai per caso anche se non credo al caso, ma credo nella similarità degli esseri che si incrociano e stabiliscono legami; certamente non voglio asserire che sono un Angelo, non lo sono:”Stava infreddolito e stanco, inzuppato di dolore sotto la pioggia, intirizzito, bisognoso di cure e di attenzione. Necessitante che un qualche buono spirito gli asciugasse le ali, mi concesse tale compito, non voleva, lo pregai... concessomi ciò:”mi sentii felice di asciugargli le ali” ... L'Angelo, mi ricambiò col suo spirituale amore:"Alleluia". Volarono colombe nel cielo, sbocciarono molte rose nel rosaio, un profumo d'amore avvolse lo stato di grazia di entrambi.
Camminavo per il lungomare fumando pensieri, i quali, come sigari, emanavano fumo dal dolce odore. Il vento soffiava forte e incurante del tutto, il Vesuvio era innevato, indossava per l'occasione un colletto bianco di neve. Il freddo era pungente, si insinuava veloce in ogni cosa; colpiva la materia con colpi bassi, mentre ciò avveniva, il rumore delle arrabbiate onde che s’infrangevano con tutta la loro rabbia sui bianchi scogli di Mergellina era assordante. Si ascoltava bene la loro voce, era un urlo chiaro, era la voce delle pietre bianche o sentinelle del golfo che urlavano al vento di smettere di colpirle col suo alito freddo:“Urlavano fortemente, il loro disappunto raggiungeva il cielo“.
Camminavo a passo svelto con le mani in tasca, infreddolito, cercavo nuovi modi di essere e metodi giovani per riscoprire il mondo. Quello che esso rappresentava non mi piaceva per niente. Pensavo che se fossi stato Noè, l’ unica cosa che avrei salvato di sicuro, imbarcando il tutto sulla grande arca, sarebbe stata la natura con tutte le sue meraviglie e gli animali; logicamente avrei portato con me ogni uomo spirituale devoto del profondo. Ci doveva pur essere un modo nuovo, una strada non percorsa, un vicoletto assolato mai setacciato dentro che mi conducesse alla via... Questo, cercavo inoltrandomi a lenti passi di pensieri dentro, nel profondo del pozzo buio dove mai occhi prima avevano mai aguzzato la vista.
Mi chiedevo, certo, prendendo coraggio dal setacciare il marciapiede dei vicoli:"che anche i minatori per scoprire le pepite fatte di oro nelle miniere buie, dove il sole trova chiusa la porta, passano gran parte della loro vita a cercare senza mai perdere la speranza nel cercare; a volte, trovano ciò che cercano nello scavare o nel perlustrare il terreno incolto e roccioso con il loro spirito che illumina il terreno oscuro. Altre, pur scavando con maniaca ossessività non trovano nulla nella ricerca e nel terreno, delusi, soccombono a tale impresa. Rassegnati restano nei loro cuori, asciutti e aridi dentro... Ero sicuro di stare a buon punto dello scavare, stavo quasi vicino a una grossa pepita d’oro lucente. Dovevo cambiare me stesso, rinnovare il mondo che osservavo, così, com'era fatto non mi piaceva. Avevo bisogno di strumenti mai usati, di nuove idee per creare prima dentro e poi fuori di me un nuovo mondo, fatto diversamente.
Continuavo a camminare nel frattempo con le mani nelle tasche, mi riparavo dal vento e dal freddo coprendomi con gli affetti che possedevo. Erano pochi di numero, ma ardevano e riscaldavano come mille fuochi accesi, la legna pregiata ardeva bene, riscaldava pienamente ogni piccola parte di me stesso.
L'arancia colava succo agrodolce e la mela bianca con i semi di legno appariva all'imbrunire.
Mi svestii della mia pelle sulle bianche pietruzze diamantate.
L'onda del mare, decisa
dissetava la sabbia.
Mi liberai improvvisamente dalla corazza che indossavo,
mi liberai delle nascite e delle morti, divenni attimo, libero dalla buccia che rivestiva l'essenza.
Divampava chiara e forte la fiamma spirituale.
Vedevo il percorso intrapreso tra le tante vite vissute, provavo dolore per quante volte la morte mi aveva bussato, scorgevo il primitivo uomo che ero stato,
ogni terra dove la mia anima aveva vissuto e seminato amore.
Le guerre condotte, le battaglie vinte e quelle perse.
Poi sangue e ancora sangue,
schiumoso e rosso, ribollivano i miei peccati.
Chiesi perdono alla vita, chiesi perdono a tutte le nascite che avevo soppresso. La fiamma del perdono mi riscaldava,
saliva in alto, il mio Spirito,
sempre più su.
Salì sulla vetta del monte più alto, la punta frastagliata della montagna toccava la luna bianca che si affacciava sull'immensità del mare azzurro che bagnava la terra.
Salì in alto,
su, fino a scorgere lontano una nuova luce,
una luce forte, accecante e chiara che illuminava
il dentro e il fuori del mio essere. Raggiante, come nulla vidi mai,
raggiante più del sole.
Ebbi angoscia di tale luce, di tale amore.
Un attimo durò o meno del momento,
appena ebbi il tempo di pensare alla grandezza di Dio, poi la paura riprese a vestirmi.
Tanta paura tornò in me che tremai, per il rendermi conto del mio essere nulla e meno del niente.
Pochi attimi, durò la meraviglia,
mi ritrovai nuovamente nel nido del mio corpo.
Percepii nell'esperienza fatta, appena un micro di un piccolissimo percorso dell'essere uomo nell'avvicinarsi al Maestro.
Avevo percepito l'attimo Divino.
Bevvi Armonia per molti giorni ancora dopo l'avvenimento. Continuai a camminare...