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♦ Michelangelo Cervellera |
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Il movimento della mano dell'uomo mi indica la voglia irrefrenabile che palpita nel suo cuore. Mi giro nel letto, quasi a scoraggiare il suo gesto ambito, ma la persistenza di quelle carezze iniziano a farsi strada dentro di me. Lo stimolo allontana il sonno e la stanchezza, portandomi a corrispondere il desiderio. I nostri corpi iniziano a cercarsi l'un l'altro come ormai da anni hanno imparato a fare. Sento le sue mani seguire gli stessi tragitti, le stesse pause, gli stessi indugi. È l'inizio! È sempre così. Devo attendere che, lasciandosi andare, perda il controllo di quello che sta facendo, indirizzandomi in quel vortice che mi fa perdere il senso del tempo, il senso della realtà, il senso di quel bigotto comportamento che durante il giorno ci accompagna e che, soltanto la notte, nel letto di chi sa amare, perde il suo pudore. Ascolto il mio desiderio aspettando quell'atteso momento, ma stasera... stasera si lascia attendere più del solito. Forse qualche pensiero lo trattiene, forse... forse la torta del mio compleanno l'ha appesantito. Speriamo che presto riesca a strapparmi da questa camera per portarmi nel nostro più intimo paradiso. Niente! Sento le sue mani inciampare sul mio seno. Le sento quasi sfuggire, sento le sue braccia che da dietro, mi avvolgono e mi stringono in una morsa micidiale. No! No, così non mi piace. Le sue dita adesso stringono la delicata pelle su cui poggiano, facendomi gridare di dolore! Accendo la luce sul comodino e di scatto mi volto pronta ad aggredirlo ma... la smorfia di dolore che il suo viso mi trasmette, trasforma la mia rabbia in terrore. Con una mano si stringe forte il petto, ed i suoi occhi implorano quell'aiuto che non sono in grado di dargli. Continuo a guardarlo senza poter fare niente. Lui affanna. Respira, non respira. Forse un infarto... Oddio! Devo chiamare qualcuno. Mi volto portando le gambe fuori dal letto. Appoggio i piedi sul caldo parquet e cerco, disperata, il cordles sul comodino. Non c'è! È giù in cucina! Sì, ricordo... è sul tavolo vicino alla torta del compleanno. Cerco le ciabatte, ma stupita del gesto irrazionale, ci rinuncio e mi affretto per le scale cercando di raggiungere al più presto il telefono. Ecco, sono in cucina. Accendo la luce ed un bianco accecante si impadronisce dei miei occhi. Mi viene da sorridere pensando che, a volte, il buio può essere anche bianco! Ma... ma cosa sto facendo! Non mi devo distrarre, devo subito chiamare soccorso! Cerco il telefono!... Eppure era qui! Aggiro il dolce che qualche ora fa ha voluto sottolineare il passare del tempo e... sì! Eccolo! Lo afferro con un gesto rapido, ma il tempo guadagnato, viene completamente perso dal tremore che la mano manifesta nel cercare di comporre il numero su quei tasti sfuocati. Occupato! Riprovo, occupato! Riprovo! Occupato! Oddio! Aggiro il tavolo e mi siedo. Cerco di respirare! Riprovo a chiamare: occupato! Sono disperata! Metto il telefono sul tavolo ed inizio a piangere. Il tempo si è fermato! Di scatto riprendo il telefono e riprovo: Occupato! Riprovo! Riprovo! Niente! Davanti a me, la torta di compleanno mi guarda quasi a volermi consolare. Le lacrime hanno ricominciato a solcare il mio viso. Riprovo: occupato! Prendo il coltello accanto al dolce. Lo innalzo fino a far rispecchiare una lancia di luce sulla sua lama. Lo guardo, osservo la sua fattezza, ricordando la sua funzione, appoggio la sua punta sul centro della torta immergendola in quella morbida crema ricoperta di panna.. Ferma, guardo la fetta partita che mi invita al pasto. Poso il coltello e con movimenti lenti prendo nella mano quel forziere di sapori che presto si aprirà nella mia bocca. Il morso che stacca il primo boccone, inebria la mia mente illuminando i meandri più scuri della stessa. Una quantità inestimabile di saliva quasi mi soffoca ma con sapiente saper fare, ingoio. Adesso priva di sostanza la bocca si apre aspettando un nuovo ingresso che non attarda a manifestarsi. La lingua inizia a farmi percepire sensazioni inebrianti, piene di soddisfazione, piene di sapore, piene di delizia. Sento lo zucchero spremere le ghiandole salivari, ormai quasi asciutte dall'intenso piacere. Un'altra fetta e partita. La mano, ormai in preda al piacere, porta alla bocca una nuova meraviglia da gustare. I morsi sempre più passionali, sempre più veloci, sempre più spastici, impiastricciano parte di crema intorno alle labbra ma, prima ancora che il tempo si accorga dell'accaduto, la lingua scatta fuori alla ricerca del pasto perduto ed una volta trovato lo raccoglie quasi fosse l'ultimo. Mentre la mano sinistra ripone nell'ingordo orifizio l'ultimo pezzo della fetta, la sua inseparabile amica di destra ha già provveduto al taglio di una nuova fetta e poi un'altra, e poi un'altra, e poi un'altra. La torta è finita! Mi alzo, bevo e salendo le scale rientro nella mia camera. Il letto, vuoto come sempre è stato, mi intima di non inventare più sotterfugi per giustificare quel vizio della gola. Lo guardo e, dopo avergli mostrato i denti, ripongo su di esso i miei centotrentacinque chili. Riprendo il mio meraviglioso sonno. Ecco, le sue mani sono nuovamente tornate ad accarezzarmi... | |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.
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«Scritto per "i Peccati Capitali"» |
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un giallo, si legge d'un fiato, increduli e poi il ()
finale! Fantastico ... bravissimo ()
bravo...grande suspance... ()
bravo...grande suspance... ()
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