Howard Franklin è riuscito nel suo intento di riprodurre sullo schermo un personaggio della dimensione d’ Arthur Fellig (Weegee), vissuto negli U. S.A., durante gli anni quaranta, e la cui bravura è legata soprattutto alla sua attività di fotografo presso il Commissariato di Polizia di Manhattan.
Lavorava di notte ed il suo mestiere consisteva nel fornire alle principali testate giornalistiche della città foto d’omicidi, incidenti stradali suicidi, incendi…
A tale proposito, sono espressive le sue fotografie: «Incidente» (1938 circa), «Cadavere con rivoltella» (1939) e «L'assassino di un poliziotto» (1940 circa)…
“Weegee prediligeva soprattutto la luce artificiale, l’ azione fissante del flash che illumina e appiattisce il soggetto diluendo i contorni nello sfondo nero molto intenso. Questo effetto era chiamato da Weegee « luce Rembrandt». Il tempo veloce e il flash sincronizzato costituivano gli elementi ideali per la sua candid photography che richiedeva una valutazione dell'evento e uno scatto in una frazione di secondo”.
La sceneggiatura, firmata dallo stesso Franklin, tiene conto della sua vera personalità e lo inserisce con disinvoltura in un ambiente prevalentemente «notturno», dove la drammaticità degli argomenti trattati, almeno nella prima parte del lungometraggio, lo presenta nelle vesti di un fotoreporter che si ostina a voler realizzare una specie di cronistoria illustrata di New- York.
La tecnica usata dal regista, per rallentare i fotogrammi sulla pellicola nei momenti di maggior tensione, rafforza il personaggio dal punto di vista cinematografico, ma lo allontana inevitabilmente dal ruolo svolto da Weegee che, in realtà, registrò alcune delle opere più suggestive di un’ epoca violenta, ed è il caso di sottolinearlo, senza mai esserne affascinato epidermicamente.
Al contrario, l’uso della fotografia a raggi infrarossi (Coppia in un cinema di Times Square, Amanti sulla spiaggia di Coney Island) confermerebbe la tesi che l’ autore si limitava a fotografare «la vita mentre succede», tenendosi discretamente lontano dai fatti appena successi e desideroso prima di tutto di cogliere"la reazione del pubblico presente.
L'intrigo amoroso tra Leon Bernstein (Joe Pesci) e la proprietaria di un «club privé» tiene continuamente desta l'attenzione dello spettatore e permette al cineasta di parlare dell’ ex- ferrotipista ambulante, senza rischiare di produrre un’ opera autobiografica commemorativa.