Mai opera cinematografica ha suscitato tanto interesse e commozione nello stesso tempo. Tale sentimento è dettato sia dalla scomparsa prematura dell’ attore napoletano che dalla bravura degli interpreti del film.
Il postino è la storia di un uomo che prende coscienza delle proprie idee attraversa il rapporto paritetico instaurato con il poeta Pablo Neruda in esilio, all’ inizio degli ami 50, in una piccola isola Campana La vita silenziosa dei pescatori, le promesse elettorali fatte dal magnate di turno, la mentalità della gente comune, la bellezza mediterranea di Beatrice e, soprattutto, la tematica della metafora fanno da cornice ad una consapevolezza sociale che stenta a crescere, nonostante i disagi e le contraddizioni che la popolazione è costretta ad accettare per sopravvivere.
Il volto, leggermente pasoliniano, di Massimo Troisi incarna la sofferenza tipicamente meridionale di chi vuole riscattare la propria esistenza, anche a conto di apparire « démodé» agli occhi della gente che, in fondo, lo invidia per il solo fatto d’ essere diverso dagli altri.
L’ apprendista-poeta ed il postale veterocomunista, in una serie di sequenze mirabili cercheranno di catturare le voci «invisibili» delle onde del mare, del vento e delle campane, mediante l'uso di un magnetofono, per tramandare i valori della splendida natura in cui sono immersi. È questo il momento più bello della loro vita ed é giusto che Don Pablo ne sia il custode legittimo. La nascita di Pablito, il cui nome è un omaggio al letterato cileno, è il coronamento di questa scoperta straordinaria.
Il postino è un film di rara bellezza, che suscita la stessa malinconia del ritrovamento di una foglia morta conservata tra le pagine ingiallite di un libro mai (completamente) letto.
Il lungometraggio meritava forse un Oscar, per l'avvincente recitazione degli attori (Maria Grazia Cucinotta, Philippe Noiret e Massimo Troisi) e per l’ originalità della sceneggiatura. L’albero di Antonia di Marleen Gorris, Premio Oscar come miglior film straniero, è l'anti-postino per eccellenza. È la storia romanzata di una donna «hors de son temps» inserita in un ambiente prettamente hollywoodiano, a cui, purtroppo, siamo stati troppo abituati.
I Fratelli Lumière hanno inventato il cinema, gli americani lo hanno industrializzato, i registi italiani lo hanno « poeticizzato»…
È in quest’ ottica che il capolavoro di Michael Radford deve essere valorizzato ed apprezzato, nonostante lo stile narrativo « provinciale» che lo ingabbia e, paradossalmente, lo rende squisitamente universale.