Benedetta anche ai gatti dava il pesce, di Venerdì.
Indossava il "velino", quando andava a Messa, calze e golfino sotto il sole d'Agosto e non sudava. La corona del Rosario s'impigliava nei mezzi guanti della mamma, perciò li smise. Nella borsetta, un fazzoletto di lino per rimuovere i microbi dopo che le stringevano la mano, solo i polpastrelli di quattro dita, però.
E profumava d'incenso e gelsomino.
Inamidava le tovaglie per l'altare e tutti gli anni, a Maggio, coglieva le rose dal suo giardino, per la festa di santa Rita. Essiccate, le conservava nel cassetto del comò.
Casa e chiesa, un percorso a capo chino senza deviazioni, mai. E cantava, con voce intonata, tutto il repertorio liturgico senza sbagliare i dittonghi in latino. Paziente e tollerante anche quando nel solenne
" Pange Lingua " l'"abultroque" della vicina le faceva dilatare le narici.
Precisa, ordinata, metodica: perfetta credente e cittadina. Esemplare.
Viveva con un'anziana zia materna e l'accudiva con rispettoso zelo. La sua casa era uno specchio: linda, ordinata e mai un oggetto fuori posto. Anche la cuccia del gatto, nel giardino curatissimo, non mostrava la presenza di peli.
Inarrivabile perfezione.
E gli uomini li guardava all'altezza della cravatta, a distanza. Troppo diversi e misteriosi.
Un giorno piovoso d'Aprile, un centimetro in più nei tacchi, inciampò e cadde.
Qualcuno la sollevò, premurosamente. Braccia muscolose ma delicate. Strane. Piacevoli. Calde.
Alzò lo sguardo per ringraziare e fu un percorso lento, lungo l'altezza di un uomo senza cravatta.
Non esiste la perfezione.