Non trovo le parole per parlarne, non trovo quasi il coraggio, solo dolore, sottile e acuto che non mi abbandonerà mai più. Per tutta la vita porterò il marchio di questo mio dolore, della mia colpa. Lo sentirò la mattina, appena sveglia e sarà l’ ultima cosa cui penserò addormentandomi.
E’ vivo, sotto la mia pelle e con me invecchierà.
Se chiudo gli occhi riesco ad immaginare il profilo, i piccoli pugni serrati, riesco a sentirlo respirare. Ma appena li apro, gli occhi, lo specchio mi rimanda l’ ombra di quella scelta che mi ha, per sempre, cambiato la vita. Nulla sarà mai più come prima: ho gettato via il mio bambino e le ragioni non bastano né mai basteranno a placare quella voce che in ogni momento mi ripete se…
Due minuti di anestesia et voilà, più nulla. Basta nausea, basta turgore ai seni, basta con una vita che nulla ha chiesto a me o al mondo se non la sua occasione di vivere, appunto.
“ E’ stata la cosa giusta da fare… non potevi fare altrimenti… anche il medico te lo ha confermato…”
Parole, solo parole e a me resta il dolore e la pesante sconfitta di non aver avuto la forza necessaria per provare ad andare fino in fondo a quest’ esperienza. Non ho avuto il coraggio, ho fatto la scelta più comoda… ho gettato via il mio bambino, che senza nessun segnale si è aggrappato al mio utero noncurante delle radiografie, delle TAC, delle anestesie. Lui se ne stava lì, tranquillo, continuando a pulsare, imperterrito nel suo piccolo mondo subacqueo, nuotando al sicuro dentro di me. Inconsapevole che io non lo avrei protetto e guidato nella sua vita, ma semplicemente me ne sarei liberata… perché così è più facile.
Firmare il consenso per l’ IVG (interruzione volontaria della gravidanza) è stato condannare legalmente a morte il mio bambino, di pochi millimetri allora, ma che ora si affaccerebbe al 5° mese di gestazione.
Un figlio ce l’ ho già ed è tutta la mia vita perché non potrebbe esistere il mondo senza il suo faccino e i suoi baci fitti fitti.
E’ vero che ho paura di mettere al mondo un’ altra creatura, perché gli anni passano e questo rende un po’ meno impetuose le passioni. A volte mi chiedo se sono una buona madre e se ciò che offro a mio figlio sarà sufficiente a fare di lui una bella persona, dentro.
Io sono stata fortunata, la mia strada è sempre stata costellata di persone che mi hanno fatto sentire amata, molto amata.
Ma ho così paura, ora! Paura di non essere sempre all’ altezza, di non sapermi meglio districare nelle mille attività quotidiane, rubando tempo e cercando di convogliarlo su figlio, marito, casa lavoro. A volte mi sento così stanca… così sola. E’ forse egoismo il mio? Temo di sì, mi sento tanto figlia ancora io… ma poi vedo due manine che si protendono verso di me ed ecco che dubbi e ansie svaniscono nel nulla.
Vorrei tornare indietro a quel giorno … cambiare il corso delle cose, accettare con amore ed eventualmente con sacrificio, quel mio esserino che continuava a pulsare, quel mio piccolo cuore che non ho saputo amare abbastanza, quella vita negata.
Non mi importa del giudizio della gente: non me ne frega niente. Gli sguardi delle altre donne, in ospedale, che erano lì per la mia stessa ragione, ma che in ogni modo giustificavano la loro scelta più e più volte, perché abbiamo la necessità di convincere noi stesse che quello che stiamo facendo è giusto.
Per riuscire a sopravvivere al senso di vergogna, per come le infermiere ti davano le istruzioni su come spogliarsi o su come evitare i rapporti se non più che sicuri.
Oppure il medico che provoca l’ interruzione (aborto è volgare!) non ti guarda neppure, l’ anestesista ti inietta il liquido, che fa male, e il buio per qualche minuto ti avvolge completamente. Dura poco, e come ti svegli e comprendi ciò che hai fatto non puoi far altro che piangere. Così ho fatto io, subito come quando è nato mio figlio. Nemmeno una lacrima durante i tre giorni di travaglio, né durante il parto. Poi lui è nato e me lo hanno messo tra le braccia e il mio groviglio di dolori si è dissolto, solo un pianto liberatorio di gioia assoluta, perché mio figlio è nato sano.
Così è successo al risveglio, lacrime senza singhiozzi, scendevano da sole dagli occhi gonfi, senza singulti, salate come quelle di gioia, ma terribilmente amare.
E quando un’ infermiera si è avvicinata chiedendomi se avevo male, avrei voluto rispondere che si mi faceva male, perché dal dolore pensavo che il cuore mi si sarebbe spaccato in due… ma ho detto no… che non avevo dolore. E allora lei, mi ha detto: “ Coraggio passerà…” e mi ha riportata in camera.
Ma non è vero, non passa, non si dimentica. Fa ancora così male che ancora piango, ed sono trascorsi cinque anni.
Ho spento una piccola e flebile fiammella, soffiandoci sopra con decisione.
“ Non te la prendere, ne avrai un altro” Forse, ma non sarà mai questo. Non avrò gli stessi disturbi in gravidanza, né avrà i suoi lineamenti. Sarà un altro, non sarà mai il bambino che scientemente ho gettato via…