Che cosa distingue uno scrittore, un poeta, dagli altri uomini? La sconfitta.
Leopardi senza il suo fisico sgraziato, Proust senza la sua asma, Cé line senza lo stare in guerra dalla parte "sbagliata", Pirandello senza la malattia mentale della moglie, Pessoa senza il suo disagio esistenziale, cosa sarebbero diventati?
Coloro ai quali il successo arride sempre possono diventare uomini politici, capitani d'industria, giocatori di calcio, col rischio costante che, se perdono qualche importante partita della vita, possano trasformarsi, col tempo, nell'ombra di se stessi.
Sembra invece che qualche divinità dia alla gente che scrive la sconfitta soltanto come un pretesto per ricompensarla poi con un dono ben superiore al successo: la capacità di indagare dentro se stessi e di trovarvi tesori altrimenti per sempre celati.
Senza sconfitta, per ritornare ai cinque esempi precedenti, Leopardi sarebbe magari diventato un semplice possidente di campagna con l'hobby della lettura, Proust avrebbe continuato a fare la bella vita con qualche punta di originalità e di bizzarria (magari come un suo personaggio, il barone di Charlus), Cé line avrebbe scritto sì, ma apologetici e melensi romanzi per lodare lo sbarco in Normandia, Pirandello non avrebbe certo rivoluzionato il modo di fare teatro, e Pessoa si sarebbe forse sposato e avrebbe fatto il direttore di qualche giornale di Lisbona.
Anche noi, che ci dilettiamo a scrivere sui nostri fogli e, al massimo, a pubblicare qualcosa in un sito telematico, dobbiamo fare i conti con alcune sconfitte, che possono essere le insoddisfazioni sul lavoro o in famiglia, un lieve disturbo fisico, un amore mal corrisposto, l'incapacità di relazionarci senza problemi con gli altri, o qualche sogno non realizzato. Il nostro dio non è quello dei grandi, ma sa ugualmente ricompensarci in base alle nostre esigenze e al nostro valore, e dobbiamo comunque sempre ringraziarlo.