Quello che non abbiamo dimenticato è tempo del quotidiano, è la nostra storia, la memoria che abbiamo preservato e che raccontiamo.
Bisogna custodire il libro della vita in uno scrigno e raccontare la nostra storia, la nostra favola, rievocando i ricordi di persone a noi care, le nostre origini.
Dobbiamo attecchire le nostre radici, nella frenetica vita, in questo tempo di consumismo che fa dimenticare momenti di vita passata e presente.
Se dimenticassimo la nostra identità non avremmo il vissuto dei nostri giorni, cancelleremmo eventi che per i nostri figli, padri del futuro, non avrebbero alcun insegnamento e perderebbero il significato dell’esistere, dell’ esistenza dei principi, dei valori, della stessa vita.
La vita va vissuta per quella che è, domandandosi e capendo cosa si vuole dare a se stessi opportunità o rassegnazione?
Siamo quello che lasciamo, impronte che seguiranno i nostri figli o secchi rami potati e inceneriti.
È bene riesumare i ricordi senza eludere l’ età, senza fretta riflettere per poi raccontare la vita nell’udire il cuore che parla e si rivolge con semplice anima, con respiro che danza in un immenso spazio nella sua primavera.
Raccontare è dare vita ad un dipinto con pennellate, di colore in colore, dando vita ad un’immagine nel far trasparire bucoliche figure. Incorniciare questa tela sarà studio per il futuro.
Così sono i giorni, fili di lino che vengono intrecciati nella trama e orditi dando anima all’ arazzo o al prezioso manufatto di vita passata, andando a ritroso, passeggiando così tra sentieri rammentando frammenti di ricordi, dove i nostri nonni coltivavano e facevano partorire la natura, perché per loro era madre, figlia e la rispettavano fino a non sentire la stanchezza, dalla terra prendevano forza e sicurezza. Quanta felicità allo sbocciare delle gemme, quanta solerzia nel raccolto!, questo dava serenità nei colori, la bellezza della natura che si raccontava, appagata si concedeva nel rinvigorirsi.
Nel profumo della terra tra le sue zolle si trovava la libertà, era la consolazione al sudore, alla stanchezza della tarda sera nella comunione della tavola, nel piatto spartito di “ fave”, lasciate cuocere nella “ pignatta” a fuoco lento, o nel “ piatto grande” di acqua- sale fatto di pane duro o delle umettate “ frise”, nella condivisione del lume, lampada che illuminava il chiarore delle ombre.
Nella luna soffusa si raccontavano gli eventi con il vicinato dopo una giornata di duro lavoro nei campi, quando si vendemmiava o dopo la mietitura si rimaneva a festeggiare e si cucinava nell’ odore del fumo che affumicava l’aria nel sole che andava a riposarsi.
Al mattino si attingeva l’ acqua fresca dalla “ cisterna” dando vita al giorno, era amore nello sguardo della fioritura primaverile, era un correre nel campo dorato, era una ricerca nei fiori che si raccoglievano, era gioioso gioco nel rincorrere sul prato verde a filo di erba, farfalle venuste come aquiloni che s’innalzavano in volo.
Come non ricordare il dolce mosto in ubriacanti “ capasoni”, del vento che portava con sé la pula dando capienza al grano o degli stornelli che si elevavano propagandosi con il vento estendendosi nell’anima.
L’aia si metteva a festa in assolata mietitura in aprico raggio del crepuscolo.
Quanta felicità al mattino, nell’ ombrosità del primo albore con lo sguardo rivolto al cielo che si perdeva all’ orizzonte tra nubi, il vento allegorico rincorreva la calura estiva e le cicale frinivano al riposo del meriggio nei rami dell’ livo che si agitavano anelando foglie calde.
Ecco che appaiono reminiscenti frammenti di attimi, momenti che vengono e vanno in sincronismo, in andirivieni fotogrammi in avvenenti, veementi emozioni.
I giorni cominciano dalla nascita ad accompagnare l’ uomo nel suo tempo, e già dall’infanzia si vive un percorso a ritroso si accumulano eventi tra usanze, tradizioni, credenze, rituali, modi di dire, di fare, sono eredità da salvaguardare per i nostri figli e per i figli che verranno nel fare proprio patrimonio da custodire perché è la storia, è la testimonianza della nostra cultura, dell’ identità di noi uomini, scritta perché un giorno si sfogli il libro della vita e si ricordi quello che eravamo, quello che siamo nel distratto tempo e provino lo stupore e la meraviglia nello scoprire come eravamo felici e sereni con quel poco, fatto di semplicità.
Tempi duri nell’ infaticabile terra, nel lavoro elevato, si nasceva dalla terra, si moriva per la terra.
Già da piccolo ti insegnavano il mestiere del contadino, nel rispetto del valore nella trascendente comunanza d’amarla, la terra è connaturata nell’uomo e il passato sarà il futuro.
Bisogna ricordare per insegnare, sapendo collocarsi nel verbo essere o avere assaporando il sacrificio, la fatica e apprezzarla come i nostri avi, radici dell’ umanità.