Era già la terza volta (e sarebbe stata anche l'ultima) che Zeta partecipava a un concorso per cercare di vincere una cattedra di lingua e letteratura francese alle scuole superiori; aveva già un posto sicuro alla scuola media, ma pensava che la sua preparazione e i suoi interessi gli avessero consentito, anche per il bene della società, di dare il meglio di sé in un altro ordine di scuole.
Le prime due volte era stato bocciato, forse per colpa sua, lo ammetteva: si era preparato poco, e la prima volta gli era servita anche e soprattutto per beneficiare di quindici giorni di licenza dalla caserma in cui prestava (malvolentieri) il servizio militare di leva.
Ma la terza volta pensava di essersi preparato bene, e si presentò alla sede del concorso, nella città di N., munito soltanto di una penna e di un dizionario monolingue, come prevedeva il regolamento. Appena entrato era rimasto piuttosto perplesso: quasi tutti i candidati (in grande maggioranza donne) si erano accomodati sulle sedie deponendo sul pavimento voluminose e pesanti borse. "Avranno molta fame! ", aveva pensato ingenuamente Zeta. Invece, appena iniziata la prova, avevano incominciato a estrarre da quelle borse libri di tutti i tipi, addirittura incoraggiati talvolta dal personale di assistenza.
Quando passavano vicino a Zeta, che si dava da fare con il suo unico libro, gli assistenti lo guardavano quasi come un extraterrestre, come se volessero dirgli: "Non lo sai che a N. le leggi esistono per essere infrante? "
Ciononostante, Zeta uscì dalla sede del concorso convinto di aver fatto una buona prova (sapeva riconoscere i suoi limiti e i suoi errori), perché aveva avuto la fortuna di potere scegliere una traccia che gli era alquanto congeniale, la poetica dei testi delle canzoni di Georges Brassens.
Passavano i mesi, e a Zeta non arrivava nessuna comunicazione, né positiva né negativa, per cui si recò al provveditorato, dove non lo fecero neppure entrare e un usciere, guardandolo anche lui come un extraterrestre, gli disse: "Se non ha avuto nessuna comunicazione, è chiaro che lei è stato bocciato! " Alla richiesta di Zeta di potere almeno vedere il suo elaborato e conoscere il voto attribuitogli, l'usciere lo guardò in modo quasi spaventato, come se Zeta non fosse arrivato da un altro pianeta, ma addirittura da un altro sistema solare...
Zeta capì che la meta alla quale ambiva era irraggiungibile per lui, ma di tanto in tanto si chiedeva, come quel tale: "Ci sarà pure un giudice a Berlino! "
E una notte fece un sogno che finalmente lo appagò.
Sognò di trovarsi a R., per partecipare a un concorso per traduttori indetto dalla Comunità europea.
Sognò che a quel concorso partecipavano esattamente duecentoventidue concorrenti, provenienti da tutt'Italia, e che chi fosse riuscito nell'ardua impresa sarebbe andato a Bruxelles, percependo uno stipendio favoloso e soprattutto potendo dimostrare tutta la sua bravura.
Sognò che per le prove, dalle otto di mattina alle diciotto (per chi se la fosse sentita), la sorveglianza era rigidissima e fatta da un'assistente tedesca che si aggirava continuamente tra i banchi per controllare che, come da regolamento, i candidati avessero soltanto un foglio e una penna a loro disposizione (tutto il resto doveva stare nelle teste) .
Sognò di avere fatto molto bene la prima traduzione (di francese), in modo insufficiente la seconda (di portoghese, lingua che non rispolverava da troppi anni) e di avere rinunciato, per la stanchezza accumulata, all'ultima traduzione facoltativa, in una terza lingua.
Sognò infine che dopo un paio di mesi gli arrivò una lettera a casa in cui gli venivano comunicati i voti ottenuti nelle prove svolte (perfettamente corrispondenti a quelli che lui già si era attribuito da solo), con l'inevitabile avviso di esclusione dalle prove orali.
Si svegliò soddisfatto Zeta quella mattina, contento di avere trovato un po' di serietà almeno in sogno.