Sul tappeto verde da gioco della sala Roma sita in Via Toledo numero civico cinquanta, le palle da biliardo marmoree e fredde rotolavano sul tappeto verde prendendo energia dall’ urto di una stecca di legno lucida, stecca, tenuta stretta nelle mani calde di Eduardo che con tutta la forza della sua energia cercava di spingerle in una delle sei buche del biliardo. In gioco c’ erano scommesse e bibite, qualche cognach e tanti applausi da parte di spettatori che non avendo nulla da fare osservavano curiosi le partite di biliardo in silenzio e respirando nuvole di fumo di sigarette. La sala era grande e riempita di luci che dall’ alto del soffitto bianco illuminavano il tutto come i grandi saloni dei castelli antichi dove solitamente si davano feste e si ballava il Valzer in un atmosfera d’ incanto con dame e caveliere con sgargianti vestiti. Le luci bianche e soffuse erano caldissime e si affacciavano al centro di ogni biliardo come una luna su di un prato pieno di fiori e grilli saltanti.
Attiguamente in un’ altra sala che si vedeva appena nuvoloni di fumo di sigarette coprivano i volti di giocatori che, pensierosi, stringevano nelle mani carte da gioco come le donne tengono ventagli di stoffa per raffreddarsi il viso . Ogni cinque minuti, si vedeva tra la nebbia folta di fumo un cameriere in livrea che serviva caffè e bevande varie divincolandosi tra le persone che nemmeno lo notavano, tutti erano accaniti a fare qualcosa, a cercare l impeccata giusta. Ogn’ uno di loro era assorto nella sfida della vincita e in quella della perdita, tra l’ inferno e il paradiso dove tutti imploravano la dea bendata che se ne stava fuori dalla mischia e dalle richieste incessanti dei giocatori, seduta su di un grosso e maestoso lampadario si celava dall’ alto al centro del salone, rideva e si divertiva leggendo dentro ai loro cuori i segreti più intimi e le loro speranze di vincite e di trionfo.
Eduardo, allora era un quarantenne cresciuto senza madre e senza famiglia, il colore della Sua pelle era di un brunito lucido, aveva occhi neri e mani lunghe proprio adatte a maneggiare con facilità la stecca di biliardo lucida e impolverata dal borotalco. Vinceva spesso al gioco della carambola e tutti si proponevano sempre di sfidarlo, faceva roteare con un colpo di stecca preciso le palle del biliardo nella buca con una semplicità straordinaria, la Sua voce rimbombava nelle mie orecchie ” Palla rossa al centro, pallino tocca bianca, la gialla nella buca di centro! " E così via fino alla fine, quando sul tappeto verde a fine partita apparivano biglietti da mille e monete d’ argento incise al centro con le tre caravelle di Colombo. Che bello vedere apparire fiori di metallo sul prato verde ...
Ero piccolo allora e per un certo periodo divenni la mascotte della sala, dicevano tutti che portavo fortuna e tutti volevano comprarmi sempre un gelato. Non capivo niente di biliardi e di carte come ancora oggi non comprendo il gioco rischioso, ma allora riuscivo sempre a vedere altro dal gioco, mi divertivo tanto a comprendere le emozioni colorate sul volto dei giocatori . A volte mi estraniavo dal tutto e viaggiavo con la mia fantasia in altri mondi, al posto delle palle di biliardo vedevo il cielo verde e i pianeti colorati, altre volte, osservavo le figure sulle carte da gioco e vedevo tutto un mondo mio, donne che portavano acqua, cavalli e fanti, spade da guerre e soli splendenti fatti di oro zecchino.
Tutto questo osservavo e viaggiavo, non mi piaceva essere spettatore annoiato e nemmeno mi piaceva osservare il volto triste dei perdenti che dopo aver perso scommesse e partite, pieni di rabbia si allontanavano come fantasmi nelle nubi del fumo con l’ animo rivolto al domani per una rivincita. Il gioco si sa è come la vita … si spera sempre di vincere in ogni frangente. Intanto Eduardo continuava a vincere a biliardo, fin quando un bel giorno di domenica sera i finanzieri scesero rapidamente nella sala sequestrando tutto, gli uomini di stato si fecero consegnare da tutti i presenti i documenti e dopo vari accertamenti chiusero il salone dove danzavano le palle marmoree, coprirono con grossi teli bianchi i verdi prati e addio …
Chiusi anche io con quel luogo fatato, Eduardo non mi ci portò più in quella sala; Sala che sicuramente non era adatta ai bambini e forse nemmeno agli adulti. Passò del tempo… e tanto altro tempo ancora. Una domenica mattina mentre ancora prendevo il latte e mi gustavo la giornata tiepida primaverile, Eduardo mi chiamò, mi disse di vestirmi con fretta, di fare presto e di andare con lui in un luogo magico. Immaginai che mi volesse portare in qualche altra sala da gioco, no, non era così, oramai aveva deposto la stecca di legno, era un altro il luogo dove mi portò, con mia meraviglia mi ritrovai tra la folla dello Stadio S. Paolo, altro tipo di tappeto verde, era davvero un prato, si giocava il derby Napoli – Roma, una classica partita di campionato. I miei occhi non credevano alla meraviglia, tutti urlavano goal goal ... Ebbi paura, mi spaventai, ma ripresomi dallo spavento cominciai ad osservare bene la palla che messa al centro del campo veniva inseguita da ventidue giocatori con calzoncini bianchi e casacche colorate che cercavano di imbucarla in una rete da pescatore, se la contendevano prendendola a calci, spingendo le loro gambe in avanti rincorrendo l’avversario sul terreno da gioco
Ricordo che vinse la squadra con pantaloncini bianchi e maglietta celeste, goal ... Lo stadio si dipinse d’ azzurro e mille bandiere salutarono i giocatori che come gladiatori alzarono le mani al cielo, tutti erano felice, abbracci e strette di mano, la squadra del Napoli in quella giornata fece felice 60mila spettatori, in quel giorno subii con felicità il battesimo del tifoso, ma questa è un’ altra storia …
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