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Questo racconto è inserito in:
 Parte 10 della raccolta "Storie di Famiglia " di Carlo Fracassi (35 racconti)
 Come eravamo

Zì Bertòzi

Biografie e Diari

Bertòzi era un uomo mite e taciturno che badava solo al suo orto e alle sue galline, recandosi in riva al mare nei mesi con la R per raccogliere vongole e cannelli cui tagliava l’interramento con una piccola pala. Sua moglie non lo chiamò mai per nome ma sempre Bertòzi.

Alla vigilia di San Giuseppe, giorno del suo onomastico, diventava l’anima della “fogheraccia” rionale, piazzando mani e mento sul bastone del forcale e pronto a riordinare la legna che ardendo debordava dalla grossa catasta accumulata. Poi quando il fuoco languiva, correva a casa e caricava sulla carriola quante fascine poteva e rinvigoriva la fiamma, accompagnato dallo scrosciante applauso degli astanti.

Da pensionato delle ferrovie, solitamente vestiva divise dismesse o vecchi abiti (sempre giacche a doppiopetto) che gli consentissero di lavorare la terra senza tema di sporcarsi. In testa portava vecchio basco. Ricordo che ci fu un periodo in cui tutte le sere veniva a casa dopocena per fare compagnia a mio padre che soffrendo di frequentissime coliche di fegato lo stendevano letteralmente a terra. Giocavano a carte, così il babbo si distraeva e sopportava meglio il dolore causato dai calcoli.

In quelle occasioni Bertòzi metteva sempre il vestito della festa e stava un poco in soggezione di mia madre, che gli serviva sempre il caffè addolcito da un sorriso. Lo zio da principio cercava di darsi un contegno, tamburellando con le dita sulla sua tabacchiera contenente trinciato forte da ’90, poi lentamente si scioglieva e s’attardava a raccontare alcuni fatti della vita, diventando inaspettatamente ilare e loquace più che mai.

Fra i tanti racconti di Bertòzì, mescolati al dialetto di Gatteo (luogo di nascita) ne ricordo uno che mi rimase particolarmente impresso, perché una delle cose più importanti di allora era la scorta della legna da ardere per l’inverno, visto che a quel tempo nelle case c’era solo la “stufa economica” che stava in cucina dove si viveva e che serviva, sia per scaldare l’ambiente, sia per cucinare le vivande.

Ed ecco le sue testuali parole: << Sono andato a comprare la legna e mentre accompagnavo in bicicletta il carro che la trasportava a casa ho incontrato Tizio. Questi mi fa "Ciò Bertòzi um per che clà legna la sia un po’ virdina” - e me ai get: “Sta zèt brot sumar d’un sumar, savot savè té piò ad me ch’ò contratè s-la Joguslavia piò ad quarent’an legna e carbon per al ferovì” - certo è che lo zio Bertozzi si faceva un gran vanto della sua competenza in materia di legna e carbone e sottolineava - “Sl’è tropa secca la brusa in t’un lèmp e t’arvenz a mità inverne senza, sl’è tropa virda l’an brusa e la fa e’ fom; l’ha da ès meza e meza”>>.



Carlo Fracassi 08/10/2010 12:51 1168

Creative Commons LicenseQuesto racconto è pubblicata sotto una Licenza Creative Commons: è possibile riprodurla, distribuirla, rappresentarla o recitarla in pubblico, a condizione che non venga modificata od in alcun modo alterata, che venga sempre data l'attribuzione all'autore/autrice, e che non vi sia alcuno scopo commerciale.
I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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Nota dell'autore:
«Tratto da "Storie di famiglia" d'imminente pubblicazione.»

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