Cinquantacinque anni fa il viale in cui abitavo, da un certo punto in poi, non era rifinito come adesso. Prima di addentrarsi nella zona degli stabilimenti industriali, risentiva ancora della presenza di quella campagna che, appena una ventina di anni prima, era stata di gran lunga la principale fonte di occupazione per la popolazione della mia cittadina.
Nel punto in cui il viale incrociava la strada nazionale, a pochi minuti a piedi da casa mia, era nata una pizzeria che, a quei tempi, sfornava pizze ancora appetibili, non proprio come quelle di Napoli, ma comunque condite con olio d'oliva e mozzarelle provenienti dal latte di bufale allevate in modo sano.
I sabati e le domeniche sera la pizzeria funzionava a pieno regime e, inoltre, aveva l'abitudine di fare ascoltare, al massimo volume, le canzoni napoletane di successo in quel periodo: si potevano nitidamente gustare anche a cento, duecento metri di distanza.
Avevo sui cinque anni e spesso, anche senza mangiare la pizza, facevo una passeggiata nei paraggi con i miei genitori. Ricordo che le canzoni allora più in voga erano due: "Guaglione" , del 1956 ("E passe e spasse / Sotto a 'stu balcone, / Ma tu si' guaglione! / Tu nun cunusce 'e ffemmene, / Si' ancora accussì giovane! / Tu si' guaglione! / Che t'è mise 'ncapa? Va a ghiucà 'o pallone! / Che vonno di' 'sti lacreme? / Vatté nun me fa' ridere! / Curre 'mbraccio addù mammà, / Nun fa' 'o scemo piccerì, / Dille tutta 'a verità / Ca mammà te po' capì! ") , e "Lazzarella", del 1957 ("Ma Lazzarella comme si' / A mme me piace sempe 'e cchiù / E vengo apposto pe' t''o ddi' / Vicino 'a scola d''o Gesù. / Tu invece me rispunne: ' E ggià: / Io deve retta proprio a tte! / Pe' mme l'ammore po' aspettà, / Che n'aggia fa', nun fa pe' mme ' . / Ah Lazzarella / Ventata 'e primmavera, / Quanno passe, tutt''e matine, / Già te spiecchie dint''e vetrine, / Solo 'nu cumplimento te fa' avvampà. ")
La maggior parte della gente, bambini compresi, era contenta di ascoltare quelle canzoni, e ne ricavava una sorta di buonumore. A me (soprattutto "Lazzarella") mettevano tristezza, come più tardi mi avrebbero messo tristezza i film di Totò che tuttora, nella mia zona, sono riproposti ogni sera, come film "comici", da tre o quattro televisioni locali.
E' vero che io sono stato sempre portato ad andare contro le convenzioni e le convinzioni della maggioranza, anche se spesso soltanto a un livello puramente cerebrale, ma forse c'era qualcosa in più a rendermi scettico nei confronti dell'allegrezza che avrebbero dovuto suscitare quelle canzoni. A distanza di tanto tempo, posso ora assai meglio pensare che a ciò concorrevano in parte i motivi musicali (come in quasi tutte le canzoni napoletane sempre ambigui, mai ritmicamente ben scanditi, e quindi tali da creare una sorta di incertezza e di ansia negli animi più sensibili e razionali); ma soprattutto erano i testi che mi infondevano quella tristezza della quale, allora, non sapevo spiegarmi l'origine.
In "Guaglione" si rimproverava un ragazzino perché non conosceva le donne, e quindi lo si invogliava a tenersene alla larga, salvo poi, pochi secondi dopo, spingerlo a correre in braccio alla propria madre, dato che soltanto lei poteva capirlo. Ma, pensavo forse allora senza rendermene pienamente conto, come si poteva avere fiducia nella propria madre, una donna anch'essa, se la conoscenza delle donne era preclusa ai ragazzini?
In "Lazzarella" (ricca di un erotismo un po' blasfemo per la dottrina cattolica preconciliare che vagava nell'aria in quegli anni, dato che l'adescamento, velatamente macchiato di pedofilia, veniva tentato presso la scuola "del Gesù") la corte fatta alla ragazzina da un uomo maturo (il cantante) faceva pensare a un bambino come me che i tentativi di approccio dei piccoli nei confronti delle coetanee erano destinati al fallimento, a beneficio degli uomini adulti. Del resto, il diniego della ragazza aveva tanto l'aria di essere solamente provvisorio ("Se ha detto no una donna, allora ha detto sì ", recita un'altra canzoncina napoletana), e faceva immaginare che, al prossimo incontro, lei avrebbe certamente ceduto alle lusinghe.
Il potere della parola, cantata, recitata o scritta, è a volte molto forte, e forse, in alcuni casi, non appare controindicata una certa forma di censura, prima che questa parola entri nelle orecchie o negli occhi di persone particolarmente delicate; forse bisognerebbe metterla in pratica con i bambini com'ero io, che già piangevo a dirotto quando mia madre mi canticchiava "Balocchi e profumi" .