Non potrò mai dimenticare il giorno in cui la incontrai per la prima volta perché coincide casualmente con il giorno in cui Aldo Moro fu sequestrato dalle Brigate Rosse.
Era esattamente il 16 marzo 1978 e Nicola, mio grande amico d’ università, mi aspettava davanti alla mensa universitaria di Via Zamboni a Bologna.
“Non fare tardi, mi aveva detto il giorno prima, perché odio fare la fila!”
Avevo fatto l’ impossibile per arrivare in orario all’ appuntamento ma ci arrivai in ritardo a causa di uno sciopero spontaneo che aveva praticamente bloccato la viabilità della città.
La mensa universitaria era già chiusa e Nicola era seduto sull’ acciottolato, con le gambe incrociate e lo zaino militare appoggiato sulle ginocchia, che stava fumando l’ ormai inseparabile “ Nazionale” che penzolava inerte dalle sue labbra diventate viola per il freddo.
Era fuori dai gangheri e mi urlò nelle orecchie che era stanco dei miei continui ritardi. Cercai di spiegargli le ragioni del mio ennesimo ritardo e lui improvvisamente si calmò e mi guardò con quegli occhi leggermente strabici che, a quanto pare, piacevano tanto alle donne.
Gli proposi allora d’ andare a mangiare una pizza, che dovetti pagare io naturalmente, per farmi perdonare e lui mi guardò di nuovo con i suoi occhietti furbi, si aggiustò il basco nero sulla testa e si accese l’ ennesima sigaretta buttando rabbiosamente il fiammifero per terra.
Stavamo bevendo silenziosamente il caffè quando una giovane ragazza molto avvenente entrò nella pizzeria. Indossava un cappotto a quadretti e i suoi capelli sciolti, di un colore indefinibile, le davano un tocco di classe. Si avvicinò al telefono, posò la sua enorme borsa sul pavimento e frugò accuratamente nelle tasche del suo paltò. Sconsolata, si guardò attorno e, dopo aver guardato i pochi clienti rimasti nella sala, si avvicinò a noi.
Ricordo distintamente l’effluvio raffinato del suo profumo.
“Buonasera ragazzi, non avreste per caso qualche gettone da prestarmi”? disse sottovoce come se non volesse far sentire a nessuno la sua domanda.
“Certamente, signorina”, le risposi dandole una decina di gettoni telefonici.
La ragazza prese frettolosamente i gettoni e si allontanò ringraziandomi con un rapido cenno della testa. Nicola mi guardò maliziosamente e continuò a fumare osservando la ragazza che bisbigliava nella cornetta del telefono che si trovava a tre o quattro metri dal nostro tavolo.
“Quanto vuoi scommettere che se ne andrà senza pagarteli?”, mi disse spavaldamente Nicola.
Non risposi immediatamente alla sua provocazione perché stavo cercando di decifrare il conto. Era scritto così male che dovetti pagarlo senza neanche capirne l’ importo. Mi limitai a lasciare sul piatto un biglietto da cinquantamila lire e aspettai pazientemente che il cameriere mi portasse il resto.
Ci stavamo preparando per uscire quando la ragazza si sedette vicino a noi.
“Non vi da fastidio se mangio sul vostro tavolo?”, disse levandosi il cappotto che appoggiò delicatamente su una sedia.
“Nessun disturbo signorina”, risposi balbettando.
“Piacere, Mi chiamo Valentina e vengo da Ferrara”, mi tese la mano con la stessa delicatezza che avrebbe usato se stesse toccando una reliquia sacra.
“Sono a Bologna da tre mesi ma non conosco praticamente nessuno, aggiunse Valentina mentre stava scegliendo la pizza da ordinare sul menù, frequento il D. A.M. S. ma mi piacerebbe fare la modella…”.
“La modella?”, rispondemmo all’ unisono, guardandola con più attenzione.
“É sempre stato il mio sogno! Se non avete niente di meglio da fare per sabato prossimo, potremmo vederci all’ Osteria dei Poeti, così vi potrei fare vedere il servizio fotografico che mi ha fatto mio cognato. Il mio ragazzo è molto geloso ed ha voluto che fosse suo fratello maggiore a fotografarmi nuda…”
Nicola si accese nervosamente una sigaretta e cercò inutilmente di rimanere calmo perché la risposta della ragazza lo aveva letteralmente sconvolto.
Rimasi anch’ io in silenzio fino a quando non uscimmo insieme dalla pizzeria.
Finalmente arrivò il fatidico giorno.
Arrivammo in anticipo all’Osteria dei Poeti e prenotammo un tavolo per tre persone. Alle ore 20.00, Valentina entrò nel locale e ci raggiunse. Era vestita in modo sbarazzino, indossava una minigonna vertiginosa che metteva in mostra un bel paio di gambe lunghe e tornite. Si tolse il cappotto e si sedette su una sedia con la stessa grazia di una regina che si accomoda sul suo trono.
Ricordo distintamente il fruscio delle sue calze di seta quando accavallò le sue gambe sotto il tavolo.
Mangiammo degli spaghetti con le zucchine e bevemmo dell’ottimo Sangiovese. In certi momenti della vita, soprattutto quando si gestiscono situazioni inconsuete, si ricordano anche i particolari più insignificanti.
A un certo momento, mentre stavo assaporando un profiterol al cioccolato bianco, Valentina frugò nella sua borsa e posò sul tavolo un album fotografico.
L’ album rimase sul tavolo fino a quando Nicola lo aprì e cominciò a guardare le foto che ritraevano Valentina senza veli.
“Male che vada, sarà un ricordo quando sarò vecchia…”, commentò sommessamente Valentina.
“Hai ragione!”, aggiunsi con malcelata indifferenza non vedendo l’ ora di sbirciare anch’ io le fotografie che ritraevano nuda una donna così intrigante e sensuale.
“Sono stata convocata dal fotografo Giulio De Gennaro per un eventuale servizio fotografico che potrebbe essere pubblicato su una nota rivista di moda ma ho dovuto disdire l’ appuntamento perché sto preparando un esame che non riesco proprio a digerire: Storia dell'Arte.”
“ Storias dell'Arte 1, con il professore Magno?”, puntualizzò prontamente Nicola.
Valentina si limitò a scuotere la testa in segno d’ assenso.
“Conosco un bidello della Facoltà che lo conosce personalmente e che ti potrebbe aiutare. Mi ha confidato che il professore Magno ha un debole per le belle ragazze e che...”
“ Non penserai mica che io sia disposta ad andare a letto con lui per superare quel maledetto esame?”, rispose con collera Valentina.
“Non ho detto questo, ma forse, ribadisco “ for-se”, si potrebbe trovare una soluzione adeguata per risolvere questo piccolo inconveniente…”, ribatté Nicola accarezzando delicatamente l’ album fotografico.
Assistetti alla scena con studiata perfidia perché avevo intuito il piano del mio miglior amico.
“Il bidello potrebbe fargli vedere soltanto l’ album fotografico. Sai, a una certa età, anche gli intellettuali del suo talento si limitano a guardare, poiché non riescono a fare altro!”, rispose Nicola con un tono di voce suadente.
Valentina era palesemente indecisa. L’idea le sembrava buona ma probabilmente si vergognava un po’ perché avrebbe voluto superare l’ esame di Storia dell'Arte con le sue forze e non grazie alla sua bellezza. Chiuse gli occhi per qualche secondo e accettò la proposta di Nicola.
“Quando ti presenterai alla sessione invernale di Storia dell'Arte 1, dovrai dire al professore prima dell’ esame: Mi manda Natale! Così lui si ricorderà che sei la ragazza delle foto.”
L’ album con le foto osé es di Valentina fece il giro del Collegio Universitario, dove abitavamo, in quanto studenti fuorisede, e della Facoltà di Lettere e Filosofia fino al giorno in cui l’ aspirante modella dovette presentarsi al dipartimento di Storia dell'Arte per sostenere l’ ostico esame.
Si era vestita in modo elegante e provocante. Indossava un paio di jeans molto aderenti che mettevano in evidenza la sua prorompente bellezza fisica. La camicetta sbottonata lasciava intravedere due seni acerbi e prepotenti.
Il professore arrivò in compagnia dei suoi due torvi assistenti e si sedette. Valentina si avvicinò al tavolo e aspettò che l’ insegnante la degnasse di uno sguardo.
“Mi manda Natale!”, sussurrò la ragazza.
Il professore la guardò senza capire il senso delle sue parole.
“Mi dica, signorina!”, puntualizzò il docente facendo roteare tra le mani il libretto universitario.
“Mi manda Natale! Sono la ragazza delle foto che il bidello le ha fatto vedere, professore!”, ripeté Valentina ad alta voce.
Improvvisamente, un silenzio di tomba piombò sull’ aula e gli studenti che assistevano guardarono tutti in direzione del docente universitario che rimase glaciale. Afferrò il libretto di Valentina e glielo consegnò con un sogghigno sulle labbra che non sono mai riuscito a cancellare dalla mia mente.
“Torni alla prossima sessione, quella prima di natale, e venga vestita in modo più consono alle circostanze!”
Valentina prese il libretto universitario nelle mani tremolanti, afferrò nervosamente la sua giacca e scomparve dall’ aula in un batter d’occhio.
Ho cercato disperatamente di rintracciarla su Face Book, Twitter e Linkedin, ma non sono mai riuscito a ritrovarla perché non ricordo con esattezza il suo cognome.
Comunque, se dovesse leggere fortuitamente questo breve racconto e si dovesse riconoscere nella persona di Valentina (che è naturalmente un nome di fantasia) le chiederei umilmente di perdonarci per lo scherzo che le abbiamo fatto trentacinque anni fa e per il fatto che io conservi ancora, in un cassetto segreto della mia scrivania, una foto di quell’album che mi ha fatto sognare per tutto il periodo in cui ho frequentato l’università a Bologna.