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Betty Davis si svegliò presto quel sabato mattina. Distesa sul letto, era completamente nuda visto il caldo che era imperversato durante la notte e che si ostinava a non finire. Morgan era fuori per lavoro da quasi tre giorni e lei era sola, tutta sola all’interno del suo grande appartamento. Improvvisamente si guardò il seno, un bel seno prosperoso ed ebbe la certezza di essere una donna avvenente. In verità lo sapeva bene, erano trentanove anni che ne era consapevole, ma le piaceva guardarsi ogni tanto e ricordarselo. Lentamente si portò una mano all’inguine. Pensò a suo marito in quel momento lontano, e a quel film erotico che aveva visto la sera prima. Ebbe l’impulso di toccarsi ma poi ci ripensò, e dopo poco lasciò il letto. Mancava qualcosa in quella mattina, forse nell’intera giornata. Betty lo intuì subito, non appena, scalza, se ne andò in bagno a lavarsi il viso. In bagno tornò a guardarsi dentro l’ampio specchio che faceva bella mostra di sé sopra il lavabo, dominando l’intera stanza. Fissò il suo corpo sinuoso e bianco come il latte, le sue mani, i suoi fianchi, il suo viso da bambina pieno di lentiggini e i suoi occhi scuri. Sì, era ancora affascinante, su questo non c’erano dubbi. Ma qualcosa mancava e lei si sentiva insoddisfatta, così, senza un valido motivo o una ragione plausibile a cui appellarsi. In verità le capitava spesso di alzarsi la mattina con questo stato d’animo, anche se ciò negli ultimi tempi si stava verificando quasi ogni giorno. Fece colazione e guardò un poco la televisione, poi, restando sempre nuda, andò in balcone a vedere quanto fossero intensi quel sole e quel caldo di inizio luglio. Rientrò nello spazioso salone, e si mise ad ascoltare un cd che conteneva delle vecchie canzoni. Fissò a lungo il pavimento chiaro. Poi fu la volta del lampadario di Murano, dell’arazzo preso a Rouen, del vaso di cristallo regalatole da sua cugina Sully e di quel mazzo di fiori finti che tanto le piaceva. Betty amava fissare le cose. Adorava restare ferma e immobile a guardarle e a contemplarle, senza dire una parola o pensare alcunché. Diveniva una cosa in quei momenti, persa fra altre cose. Poi il suo cervello si rimetteva in moto e lei tornava viva. Betty riteneva in cuor suo che fosse preferibile essere una cosa, ma non aveva il coraggio di rivelarlo a nessuno. Un raggio di sole la colpì sugli occhi e le fece ripensare alla sua adolescenza. Si chiese per l’ennesima volta se quei sogni, quelle speranze che aveva allora si fossero effettivamente realizzati. L’intera sua vita precedente era stata in funzione di questa? Il passato aveva avuto un senso per trasformarsi in quel presente? La bambina di ieri significava la donna di oggi? E dire che niente alla fine era andato come lei se lo sarebbe aspettato. Da ragazza, infatti, si era immaginata al fianco di un uomo alto e biondo e invece se lo era ritrovato calvo e basso, aveva sempre desiderato due femmine e aveva avuto due maschi, avrebbe voluto fare l’hostess e invece era divenuta una donna d’affari, avrebbe desiderato un mastino napoletano e invece possedeva un acquario con cinque tartarughe. Insomma niente era andato come lei avrebbe immaginato. Ma era questo l’essenziale? Però qualcosa mancava nella sua vita, qualcosa si ostinava a essere fuori posto. Da diversi giorni, forse mesi, si perdeva in queste considerazioni e alla fine non approdava a niente. Non sapeva neanche la causa di questo suo strano comportamento ma era così. E tutto andava bene ma mancava qualcosa. Quella mattina, quella giornata mancavano di qualcosa e lei era contrariata e perfino un po’ depressa ma non sapeva il perché. Tornò con la mente, senza un valido motivo, a suo nonno che la chiamava spesso “tigre”. “Sei bella e forte come una tigre” -le ripeteva spesso quando era una ragazzina- “tu farai strada Betty, te lo dice il tuo vecchio.” Lei allora gli sorrideva e andava a sedersi sulle sue ginocchia e lui le scompigliava i capelli ramati, e le raccontava di quando era giovane e c’era la guerra. Quante storie di quel genere aveva ascoltato da lui nel corso degli anni! Quanti episodi di eroismo e di crudeltà! E i morti poi, e le bombe, e le “SS”. Tanti si erano sacrificati per la libertà e per la democrazia, e il risultato finale era stato quello di arrivare a questa giornata di tanti anni dopo che si ostinava a mancare di qualcosa. “Bella fregatura” -disse la donna ad alta voce; lei che nuda al centro del salone, non si sentiva più una tigre da troppo tempo. Allora desiderò ardentemente di esserlo, e di tornare a quella sua antica forza e spensieratezza. Forse era per quello che quella giornata, e probabilmente l’intera sua vita mancavano ultimamente di qualcosa. Perché lei non era più se stessa da almeno quindici anni, perché lei non era più quella stupenda tigre che era stata da giovane. Verso le dieci decise finalmente di vestirsi e uscì di casa. Non sapeva dove stava andando, sapeva soltanto che voleva uscire dal suo appartamento. Fu indecisa se prendere lo scooter oppure affidarsi alla sua fiammante monovolume; alla fine scelse quest’ultima. Si diresse per caso verso la piscina cittadina, e la trovò chiusa per dei lavori di manutenzione. A quella vista Betty stava già quasi per arrabbiarsi, quando le venne in mente che non aveva con sé il costume. Allora si dimenticò all’istante della piscina e ripartì. Andò in direzione della spiaggia ma qui trovò troppa gente e troppo sole. No, neanche quello era il posto giusto per dare un senso a quella mattinata. La verità era che non sapeva che fare poiché tutto l’annoiava. E poi c’era quel caldo torrido con quella terribile umidità che le toglieva qualsiasi forza. Certo era felice, era una donna realizzata, aveva il suo bel lavoro, aveva il suo bell’ufficio, aveva il marito più dolce e premuroso del mondo, aveva insomma tutto quello che si potesse desiderare dalla vita, compresi quei due bei marmocchi che lei avrebbe preferito di sesso femminile, che erano in quel momento a Londra a studiare l’inglese. Dunque? Dunque mancava qualcosa, punto e basta. Lei aveva tutto certo, però era pur vero che c’era sempre chi stava meglio. Dove vivessero queste persone fortunate lei non ne aveva cognizione, ma era sicura che esistessero. Decise di recarsi dalla sua estetista, ma anche qui rimase delusa poiché c’era una fila che non finiva più, e lei non aveva prenotato alcun appuntamento per quel giorno. A quel punto si recò nel centro cittadino, e si mise a fare shopping in quel lussuoso negozio alla moda di tre piani che le piaceva tanto. Comprò diversi abiti, due paia di ciabattine da mare e alcuni costumi, così, senza badare al prezzo e per trascorrere un po’ di tempo. Telefonò quindi alla donna delle pulizie e le disse di non arrivare prima delle cinque del pomeriggio. Provò anche a chiamare suo marito ma non ottenne risposta. Uscita da quel lussuoso negozio riuscì pure a essere felice per un breve lasso di tempo ma poi, quando stava per ritornare a casa, fu nuovamente assalita dalla sua solita insoddisfazione. Perché qualcosa continuava a mancare e lei voleva essere di nuovo una tigre. Una tigre dalla pelle bianca. A quel punto le venne in mente di trovare qualcuno che stesse peggio di lei. Aveva bisogno di consolarsi, e solo la vista di qualche disgraziato o di qualche poveraccio l’avrebbe tirata su di morale. Perciò si mise in cerca di qualche barbone, e percorse il centro cittadino in lungo e in largo ma non trovò nessuno. Erano tutti spariti e non c’era un disgraziato che fosse uno. Era certamente colpa del caldo, e pareva proprio che il sole e l’afa si fossero mangiati tutti i miseri del mondo. Risalì in macchina e raggiunse la cattedrale, perché qui ci doveva essere per forza qualcuno buttato davanti al suo maestoso ingresso a chiedere l’elemosina. Niente, neppure qui c’era anima viva. Vista la spiacevole situazione in cui si trovava, Betty decise di provare con il “San George” , l’ospedale cittadino, ma anche qui non ebbe fortuna, visto che trovò soltanto due o tre ambulanti che vendevano ombrellini, gelati e prugne californiane. Di poveri cristi nemmeno l’ombra. Di colpo si ricordò che doveva acquistare delle pile nuove per il suo elettrostimolatore per i glutei, e allora raggiunse quel centro commerciale vicino alla sua abitazione. A quell’ora c’era un sacco di gente, attirata in questo luogo anche dal refrigerio che sperava di ottenere lì dentro. L’intero parcheggio antistante era pieno in ogni suo settore e Betty si stava già infuriando. Del resto le bastava poco per perdere le staffe, visto che non era affatto abituata a essere contrariata. Finalmente riuscì a scorgere un parcheggio libero, e poco distanti vide due extracomunitari che litigavano fra loro. Indecisa sul da farsi, stava già per andarsene quando si sentì bussare sul finestrino di guida alla sua sinistra. Betty si girò di scatto, ed ebbe un sussulto. Poi fece scendere lentamente il vetro. “Cosa vuoi?” -domandò in tono sgarbato all’extracomunitario. “Se mi dà un euro signora io l’aiuto a parcheggiare.” Betty, bel seno e pelle bianca, soppesò con lo sguardo quello che sembrava un giovane africano, e ripensò a quell’idea sui poveracci che aveva avuto in testa fino a qualche secondo prima. “E quei due che stanno litigando?” “Non si preoccupi signora, ci penso io.” “Sai perché litigano?” -adesso era curiosa. “Sì signora. Litigano perché lì prima c’era un’altra macchina e il suo proprietario, quando se n’è andato via, ha dato un euro a uno dei due.” “Qual è il problema, scusa?” -gli fece Betty accendendosi una sigaretta. “L’altro reclama la metà di quell’euro, poiché lì sono in due a badare a quella lunga fila di posti auto.” Un sorriso comparve sul volto della donna. Forse dopo tutto quella giornata non era proprio storta, e ora lei poteva prendere due piccioni con una fava. Tornò con decisione all’idea dei miserabili e si sentì subito bene. Ora, infatti, ne aveva trovati ben tre. Tuttavia restava un piccolo problema. “Ma se tu ora mi aiuti quei due se la prenderanno con te. Non è forse la loro fila, quella?” “Certo signora, ha ragione. Infatti io dividerò il mio euro con loro. Così non ci saranno problemi.” Betty si chiese in quel frangente guardandolo negli occhi, e guardando gli altri due che non la smettevano di litigare, che gente fosse quella, disposta a star lì tutto il giorno sotto il sole e a sbraitare per un euro. O anche per molto meno. “D’accordo mi hai convinto, fammi strada” -gli intimò la donna. Fu così che Betty Davis, bel seno e pelle bianca, dopo aver parcheggiato scese dall’autovettura e diede un euro al giovane africano che l’aveva aiutata. Poi in un insolito slancio di generosità regalò anche agli altri due poco distanti la stessa somma di denaro. Perché in quel momento era felice, visto che aveva finalmente trovato qualcuno che se la passava peggio di lei. Molto, molto peggio di lei. Per questo era al settimo cielo, anche perché aveva appena compiuto un atto di estrema generosità, almeno dal suo punto di vista. Qualcosa magari continuava a mancare nella sua vita, ma almeno in quegli istanti Betty era soddisfatta di se stessa e di quello che aveva ottenuto. Finché, infatti, il mondo fosse stato pieno di disgraziati come quelli lei si sarebbe sentita allegra e fortunata. Era bella e benestante e solo questo contava. Quindi fu la volta delle pile. La mattinata ebbe dunque il suo significato; a dare un senso al pomeriggio ormai prossimo sarebbero stati invece l’elettrostimolatore per i suoi glutei marmorei, il rotocalco televisivo delle quindici e infine la pedicure delle diciotto. Non era poco dopo tutto, e adesso Betty lo sapeva. In realtà lo aveva sempre saputo, aveva avuto soltanto bisogno di qualcuno che glielo ricordasse. Di qualcuno che viveva con un euro al giorno o poco più. Tornò perfino a sentirsi una tigre, una tigre dal seno prosperoso e dalla pelle bianca, come ai vecchi tempi, almeno fino a quando due giorni dopo non si slogò una caviglia cadendo dal tapis roulant. | |
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«Un giorno non lavorativo di una donna benestante e affascinante che non ha però dei validi motivi per viverlo in maniera positiva.» |
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