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L'aula di cinese

Sociale e Cronaca

Come cambiano gli eventi in pochissimi decenni!

Erano i primi anni Settanta quando studiavo lingue occidentali in un'Università di Napoli, una delle due in Italia (l'altra si trovava a Venezia) dov'era possibile laurearsi anche in lingue più esotiche.

Ed in effetti quell'Università era nata nel Settecento per lo studio della lingua cinese, nella prospettiva, esageratamente ottimistica, di formare dei missionari da inviare nel Celeste Impero per convertire quella popolazione al cristianesimo (i Cinesi li accolsero cordialmente, ma si dichiararono disposti soltanto a commerciare: potevano benissimo fare a meno degli insegnamenti cristiani; quei pochi che si convertirono furono portati a Napoli e sistemati in una piccolissima area tra la Sanità e Capodimonte, in stradine che ancora oggi si chiamano "Vicoletto dei Cinesi", "Salita dei Cinesi" e "Gradini dei Cinesi") .

Al momento dell'iscrizione fui tentato dall'idea di scegliere il cinese, ma vi rinunciai, sia perché allora i pochi iscritti appartenevano a famiglie abbastanza facoltose, che potevano permettersi di mantenere i propri figli in quegli ardui studi con la prospettiva di una carriera diplomatica, sia perché, appunto, lo studio di quella lingua mi sembrava troppo difficile e non alla mia portata.

In quegli anni del post- Sessantotto la ventata comunista si era estesa ai giovani di tutt'Italia, ma i più impegnati sceglievano semmai le lingue slave (il russo in particolare), tenendosi a distanza (nonostante Bruno Lauzi cantasse già: "Arrivano i Cinesi / Arrivano a milioni / Più gialli dei limoni / Domani sono qua") da quell'idioma ritenuto forse troppo esotico ed ostico, e limitandosi, come me (lo possiedo ancora), a comprare e a leggiucchiare "Il libro delle guardie rosse" di Mao, nell'edizione Universale Economica Feltrinelli.

Il cuore di quell'Università, molto ingranditasi col tempo, era rimasto l'aula di cinese, la più vecchia di tutte, la prima entrando, a sinistra, e l'unica ad avere la classica disposizione a semicerchio dei banchi delle aule universitarie. Essa infondeva una specie di timore, e sembrava diffondere la sua aura prestigiosa e un po' misteriosa su tutte le altre aule, invogliando a scoprire la lontananza e la diversità anche nelle cose apparentemente più vicine a noi.

Incrociai qualche volta il sempre sorridente professore cinese che si recava a fare lezione, e conobbi un compostissimo ragazzo genovese che era venuto apposta a Napoli per quegli studi...

Passò molto tempo e, sempre con la mitica aula di cinese in testa, all'inizio degli anni Novanta, quando nell'immaginario adolescenziale (e non solo) era penetrato con grande forza il Giappone, durante una delle mie tante routinarie lezioni di francese in terza media, mi permisi di divagare. Mi alzai e disegnai alla lavagna una sommaria raffigurazione della Terra. "Ragazzi", dissi, "la civiltà è come il sole, nasce in oriente e, prima di morire in occidente, illumina man mano tutti i posti del nostro pianeta. Ora sta iniziando una nuova giornata di civiltà, e quel sole che ha ormai abbandonato l'America è rinato sul Giappone; ma il Giappone è piccolo, e verrà attraversato rapidamente dai suoi raggi che, fra non molto, si fermeranno invece sull'immensa Cina. Essa ne trarrà beneficio per un lungo periodo, prima che il sole torni ad illuminare di nuovo pienamente i Paesi che stanno al suo ponente, la Russia, l'Europa e, chissà quando, ancora l'America. "

Quel discorso dovette fare un certo effetto, perché ogni tanto incontro qualche ex alunno, e soprattutto qualche ex alunna, che si è laureato, o sta laureandosi, in lingue orientali.

Piaccia o non piaccia, la mia infatuazione di quarant'anni fa per la lingua cinese e la mia previsione di vent'anni fa dell'espansione della sua civiltà non erano campate in aria: l'evolversi degli avvenimenti del ventunesimo secolo mi darà, credo, pienamente ragione, e dovremo abituarci a studiare una nuova lingua, a praticare altri sport, a curarci con altre medicine, a lavorare in un altro modo, a concepire in maniera diversa la spiritualità, a mangiare altri cibi, ad idealizzare un nuovo tipo di bellezza femminile...


Antonio Terracciano 13/11/2011 00:39 1 948

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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«Non solo la lingua, ma dovremmo imparare innanzitutto a non avere pregiudizi di alcun genere verso tutte le razze di uomini e donne che popolano questo pianeta. Dovremmo dimostrare una profonda apertura mentale verso modi di esistere, tradizioni e culture diverse. Avere comprensione verso altre convinzioni e religioni, ma sopratutto dovremmo avere amore, verso tutto il genere umano e questo bistrattato mondo. E' mia convinzione che sarebbe un ottimo passo per uscire da questa situazione di grave disagio mondiale.»
Vivì

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