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Ho chiesto di avere un block notes: già evidentemente pensando di annotare ed esternare mie sensazioni, miei pensieri, divagazioni, di fissare per una futura memoria ove immemore mi riconoscessi le elucubrazioni che – complici i caleidoscopici incubi da anestesia – mi ingombrano, difatti, la mente. Avevo chiesto un block notes ed ho visto recapitarmi questo ingombrante aggeggio sul quale vado scrivendo – avevo scelto di portare con me una ohimè banale penna a sfera – e che non riesco a manovrare appropriatamente, a sistemare sulle ginocchia, a gestire – sto inutilmente cercando di trovare una idonea traduzione al to handle che invece mi è venuto istintivamente alla mente, ricordandomi improvvisamente Thom Glynn (lo pronunciava, da brava statunitense, to hindle). Mi verranno spesso in mente, in questo stato transizionale dallo stordimento chimico del pentotal alla ripresa totale di coscienza – mi mancheranno poi i giochi di luce che immancabili e sfolgoranti abbagliano i miei occhi chiusi? – intere frasi ed espressioni anglosassoni, come – mi dicono – quando bambino piccolo usavo la mia lingua madre e la mia lingua nonna confezionando un gergo che prendeva dell'una e dell'altra con felice inconsapevolezza. Comunque, ho trovato un modus vivendi con questo pesante cumbersome blocco e riesco a scrivere pur con la lentezza, la cauta lentezza che mi impone la fleboclisi piantata nel braccio destro dal quale emergono due aghi pieni di rubinettini e minuscoli coperchietti che mi fanno pensare ad una stazione di smistamento di un oleodotto. Anzi, sono una complessa centrale idroelettrica, pieno di tubature che immettono cocktail di medicamenti e di soluzione fisiologica e che altrove scaricano inquinanti ed orribili reflui che occorre comunque sorvegliare acché non si formino bolle d'aria o grumetti che potrebbero risultare pregiudizievoli. A complicare la situazione ho voluto – tutto il possibile voglio ora che mi hanno, seppure temporaneamente, liberato dalla schiavitù del letto, sistemandomi in una poltroncina, gambe e pudende pietosamente celate da un lenzuolo ripiegato – inserire nel mio corpo, fissando gli opportuni auricolari nelle orecchie e compiendo le altre piccole magie meccaniche, un'altra fleboclisi a nutrire e mediare altra cosa, a fare di questa poltroncina verdastra un posto di prima fila su uno scenario metafisico, a perfondermi di qualcosa che mi restituisca il senso di esistere oltrechè di far sopravvivere l'involucro. Debbo scrivere lentissimamente per evitare che qualche mossa meno che studiata faccia muovere troppo l'ago nella vena – vedo in effetti muoversi e tremare continuamente la cannula che dall'ampolla porta il liquido vitale nel braccio (perché non il sinistro? Eppure avevo – solamente un po’ per il vero – insistito ...). Ho scelto di ascoltare – scelto? E' stata una decisione programmata da chissà quando, covata nell'inconscio e pregustata nel sogno – le Goldberg variationen. Al momento stesso dell'annuncio del tema, un brivido lunghissimo, come riabbracciare un figlio da lungo tempo lontano, gli occhi incendiati d'amore attraverso le lacrime. Poi, lentamente, mi libero da sensazioni umane e mi immergo nel mezzo consueto; resto, non so per quanto tempo, sospeso tra il mondo fisico che mai come ora, con un impietoso dettaglio di dolori e di fastidi, è stato così presente, e quello metafisico di Bach che mai come ora mi è sembrato così necessario – debbo riuscire a spezzare la tensione di vapore posta tra le due essenze, a forare la pellicola superficiale che separa l'acqua dall'aria e penetro, poco a poco, sentendo ad ogni passo la pellicola che stringe violentemente corpo ed anima – le dita di Glenn Gould mi danno la spinta finale. Qui il tempo non esiste. Riesco a comprendere che, come sono fisicamente sostenuto dai liquidi che costantemente gocciano – ora però mi sembra che ogni goccia necessiti di un tempo quasi indefinito per cadere nell'ampollina che la smista poi in vena – nell'ago fitto nel braccio, così sono finalmente perfuso di note – mi sembra che ognuna serva a riallineare le molecole del pensiero, come corrente elettromagnetica riallinea secondo precise linee di forza la limatura di ferro nel piccolo esperimento di fisica descritto nei miei vecchi libri di scuola. Benedette e benedicenti scorrono le note e il tocco miracoloso di Gould lascia un segno profondo, come un bisturi che affondi nella carne – ricordo improvvisamente che nel dischetto di dati installato a bordo del Voyager, per l'eventualità che un'intelligenza aliena ne fermi, ne capti il viaggio nelle profondità dello spazio e possa – ove riesca – avere un'idea della nostra civiltà, è stato registrato un preludio di Bach. Eseguito da Glenn Gould. |
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