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Nel caldo di quell'antico borgo
ove posa la gotica incompiuta
tra le anguste vie nell'ora del silenzio
un possente portone in bronzo.
Una mano scolpita su essa come impronta,
profonda e con i segni del destino.
La mia vi poggiai, combaciava.
Il bronzeo varco lentamente si aprì
svelando un quadrato chiostro di verde cerchiato.
Lungo il par perimetro solo verde
ed un rigagnolo d'acqua lo correva.
La sua fonte dal centro del chiostro, con raggi
verso i vertici, si dipartiva limpida e lucente.
In quell'oscuro luogo un solo raggio di luna.
Cadeva dall'alto, ammesso dallo scudo della cella.
La cella dell'alchemico che ivi dimorava.
Le altre luci che ivi avevano accesso
or le vedevo danzare sui viali del chiostro.
Danzavano e la lor danza diveniva graffito.
Uomini buoni ne disegnavano le geometrie.
Antichi segni potevo vedere su quei muri.
Ed il lor significato era sul pesante bronzeo
che ivi mi aveva sì gentilmente accolto.
Adesso era avanti a me un varco.
Sino alla cella dalla luna percorsa potevo salire.
Mi fermarono i dolci e muti occhi di uno spirto.
La sua danza aveva fermato.
I suoi occhi vollero parlarmi.
Non voleva, non dovevo soffrire, mi amava.
Quella cella sarebbe divenuta la mia prigione.
Lascia la luce della luna.
Così dissero quegli occhi, forse di donna.
E piangevano.
Le sue lacrime si confusero con il limpido rigagnolo.
E la mia anima fù rapita a danzar con lei.
I miei occhi si persero nei suoi.
E vidi... vidi la fonte e la foce di quel rigagnolo.
Ma la mia morte voleva salire e sapere.
Quegli occhi gentili mi guardarono
giungendo nelle profondità più oscure e nascoste a tutti.
Lì depose al sicuro il suo segreto:
resterò qui ad aspettarti e danzerò solo al tuo ritorno.
Quelle luci di pace e di abbandono si abbassarono.
Ed io salii, e nel cuore un desio.
Il desiderio, struggente, di tornare.
Chiuse nel mio cuore sono le sue lacrime,
ed io gliene donai una delle mie. Fù l'ultima. |
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«Era il 1995 e quel portone in terra di Barcellona ('95)» |
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