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Impregnato e lercio di nulla
più non temo il domani
potrò sì separarmi da una vita
che non ho vissuto che a tratti.
Più niente chiedo e sento
lo so e lo so bene e lo voglio
e ogni smentita è vana.
Eloquente un ossimoro
accarezza significo le mie ossa
modella il viso dei miei giorni;
dal promontorio delle attese
tutto è una chiara foschia diffusa.
Poche volte ci baciò amore
poco forbito parlò la speranza
si accasciarono reduci sogni
troppo il sorriso di uno sguardo
mancò allo spalancarsi dei giorni.
All'occaso imbrunisce l'aria
limine ultra si fa l'orizzonte
e nessun altro porto si pensa.
Ardire, ambire, lusingarsi
ansimare ancora a che vale
se oltre non un lido o un atollo
tangibile si immagina ospitale.
E così lo scroscio infinito del nulla
cade mi penetra e mi trapassa
all'aurora di questa quinta stagione,
dalle scaturigini dell'abisso
sgorga beffarda una luce e tutta
di scialbo opaco mi contrassegna.
Annaspo nel mulinare dei pensieri
incalzato da ciò che accade;
percorro il sottobosco sonorizzato
dal vocio loquace del silenzio
che effonde; oltre le alture
o le fosse melmose dell'essere,
fisso il tempo senza corpo
che piè veloce passa come un vento.
Non ho voglia di niente e di nulla
nella mota sguazzo e resto e non ci bado.
Senza scalpore o sorpresa placido
a germi di mal di essere mi consegno;
per dovere, ignaro, batte il cuore
che non sa dirmi neppure per cosa. | |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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