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L’ombra avvolge le mie membra,
celando me agli occhi della strada;
come un mantello essa mi sembra,
mi punta alla gola la sua spada.
Un acerrimo freddo assomma al cordoglio
la sua tagliente lama, detta rugiada.
Ecco la notte! Spodesta il giorno dal soglio:
in queste ore di tenebre resta sovrana;
all’ombra della sua coltre ne miro il piglio,
invisibile come sono alla presenza umana.
I meandri della strada con guardo sonnolento
serrano gli occhi su questa terra urbana.
Alzo gli occhi, punto immoto, il firmamento,
di tutte le notti, compagno fedele e perenne:
platea immobile del mio sordo sgomento.
Volgo il mio guardo alla luna che svenne
ottenebrata da questo vivo buio cruento.
Immerso nell’oblio tetro, la miro solenne.
Fosca Nebbia la nascondi al mio lamento!
nella mia alma tuona in una nota unica
“‘ché sono qui, solo, vessato, e al vento? ”
Vedi Luna! tu, di ogni notte insonne amica;
stavolta si che mi lasci, senza alcun consenso,
solo meco, sì, che verbo non ho che si dica,
senonché come naufrago nell’ oceano immenso;
ma non un flutto nell’ombra mi par d’ udir,
ma solo un placido silenzio tristo e sì intenso:
e tanto è rude che il fragor mi viene di lodar;
in queste ore nere e brume povere d’ azioni
mi resta nulla da far, fuorché da sperar
che soave sopor m’ottundi senno e titubazioni.
Intanto le ore corrono nella notte strasciconi;
né ciglio, né cor, placano le lor perturbazioni.
Sonno! Non m’avvicini nel giaciglio di cartoni;
con la testa sulla pietra posata soavemente,
nulla posso far che contemplar le tribolazioni.
E nell’ oscuro celato, mi sovvien cupamente,
che sguardo d’omo non mi si volge di giorno;
visibile alle fiere, ma giammai alla gente.
Il mio capo, di polvere e fango é adorno;
del vero reietto, nei miei sguardi mesti,
ne porto l’emblema ogni ora del giorno.
Putride e fradice son le mie luride vesti,
calzai logori, dei miei piedi, sono il letto,
e brandelli di abietta stoffa sono i resti.
Non orma giammai lascio dappertutto;
le mie impronte paion dal mondo sì for:
giacché niente sono per esso dopotutto.
Un alito, che si confà a lacrime e sudor,
le mie spoglie lasciano trapelare;
tiene sempre i miei passi codesto afror.
Il dì frugo nelle immondizie per mestiere,
sicché né lucroso né sfarzoso è il mio guadagno
mentre alla sera rubo cartoni per dovere,
giammai il denaro è davvero il mio bisogno;
ma solo un sorriso, sul volto dipinto
di chi la mia vita ricusa, è ciò che sogno.
Sole! Invoco te con il cor compunto,
mentre miro in mente il tuo volto che agogno,
aspetto il chiarore che strozzi il mio pianto. | |
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Wal |
22/02/2008 22:49| 885 |
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