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Dite: che avrò una tomba in mezzo all’erba,
che muojo dopo avèr udita l’ùltima
tempesta... che la rabbia mi ha conquiso,
che prima di morìr ho scritta l’ombra
d’una lèttera assente... che ho spirato
a Nord volgendo il sofferente guardo
all’Inghilterra mia.
Dite: che non vedrò la figlia appena
nata, che un cavaliere lei privò
del padre suo... che dal Cièl la sorveglio,
che vorrei ella crescesse timorata
d’Iddio e lontana da guerre e da Eroi...
Moglie mia! stia ben lungi da’ i guerrieri!
Per colpa d’un guerrièr vèdova sei...
ricorda, moglie mia!
Dite: che ho diffidato de’ i Tiranni,
ma li seguii; che vissi a questi avverso,
ma che per lòr son morto, che ho credute
le bugie de’i Signori, e volsi a’ pugne...
che sopravvissi alle nevi di Mosca,
all’ire, Furie possenti, di Lipsia...
che spirài sovra un quieto prato belga
a dieci miglia da te, dal tuo volto,
oh Patria mia!
Dite: che qui defunsi in màr di sangue
appena dopo avèr sgozzato un prode
con la sciàbola ardita; e tale fu
un caro amico mio. Lo incontrài un giorno
a Parigi, allorché le nostre truppe
con i Tedeschi dopo Lipsia stàvano
a sorvegliàr la Francia. Era un bel giòvine,
avvocato, mi pàr. Dovèmmo bàtterci.
Fu essa la Sorte mia.
Dite: che ho trucidata la mia dama
che tra gli Angli pugnava per me ascosta,
per rimiràrmi... oh Fato avverso e infame!
che le trafissi il cuòr e che gridava,
e piangeva, e invocava il suo assassino...
che, pur salvato, questa sera in testa
ho giurato sparàrmi e fàr finita
quest’empia Vita mia.
Dite: che era una domènica estiva,
che ascoltàr non bramài la Messa... che andài
il desco a ricercàr da’ i contadini.
V’era un tugurio: la porta sfondài,
a forza presi il pane, e carni e frutta,
accoppài una bambina, bacia sua
madre, uccisi il marito... Ed ero un Lord!
A Londra avrei gustato un té co’ i figli,
qui ne divenni un Mostro... uomo rabbioso,
ed ecco... un colpo di fucile udii,
e fu la Morte mia.
Dite: che ieri volevo scappàr tosto,
vòlger da voi, sorella... Il mio sergente
mi colse in tempo. Allòr mi fece tògliere
l’uniforme e il farsetto... e a schiena ignuda
stetti. Così i soldati, almeno trenta,
me colpìrono irati con bastoni,
e ramoscelli. Miserrima rècluta!
E ora? La fine mia!
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Dite: che io volsi a difèndere Euròpa
dall’anglo giogo, che liberài i Pòpoli.
e che immane legioni eroicamente
per me si sacrificàrono prodi...
che come Iddio ho decisi i Fati loro.
Parole di Libertà portàr volli,
e calche me seguìvano furiose.
Liberài Italia, Alemagna, l’Ispagna,
liberàr tentài la Russia vegliarda,
rapii il Papa, sconfissi la sua Chiesa...
Ma il Destino mi danna... qui ho perduto.
Il sangue è gloria mia.
Dite a re Giorgio: vendetta... vendetta
compiuta! a undici ore tuonò il primo
bronzo... pur inferiori, noi tenemmo
il campo... immane campo... Spesso io volli
i fucilieri miei tra l’erbe ascòndere
e tra i pìccoli clivi. Mandai poscia
a morìr prodi Scozzesi a cavallo,
di Wallace degni, ma rivali in meno
allòr per noi. Al meriggio la Vittoria:
von Blùcher infuriava e l’Italiano
incoronato a fuga volse e cèlere.
Per te, Inghilterra mia! |
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