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Che dìcono le Rune a’ i millenàri
Dei che i fiordi govèrnano sevèri?...
Desiàn le Norne che Freya co’ i suoi chiari
sguardi i pomi coltìvi, onde i lòr sieri
sempre la gioventù dìano, e i sudari
della vecchiaia e di Morte e i tristi ceri
allontànino da’ i scranni su cui avàri
sèggono questi Numi ottusi e fieri.
Ogni mela che sfiora è un giòvin fuoco
che al seggio del Wallhalla Amòr presenta:
Hùndig che ama e corrisponde per poco
o per tanto la dama ch’ei tormenta.
Questa pia creätura, Freya, è Dea e giuoco,
e tra i pomi cammina lenta... lenta.
Né caldo Sole o di Luna un stràl fioco,
Amòr sublime e Dio... Amòr non paventa.
Può, adunque, Amòr recàr la giovinezza
se un morso si dà al ventre suo incantato
che divina malìa profana ispira?
O Freya, inutile serva, a tanta ebbrezza
invàn si dà pe’ i soli Dei che il Fato
a stento cèlebra, e protegge e ammira?...
In agguato sta Ygdrazìl, ombra funesta,
e insièm a lui i Giganti invidïòsi
del divino potèr e i Nibelunghi.
E quando finirà questa Tempesta
d’Amòr e Sogni e Spemi, i dì radiosi
compianta Freya non saràn mai più lunghi.
L’Odio offrirà i suoi funghi;
e senza Amòr vièn presto quel che abbàia,
questo Cèrbero infame che è vecchiàia! |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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Complicata e bellissima. Complimenti. (Pagu)
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