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Evocò in zefiro, lezioso,
l'avvenente ode del violino viola e dell’arpa,
altresì mielato fu il sibilo di un refolo lontano
dinanzi al dispiegare dell'estro
steso sul saggio del destino,
mi eri attiguo e ambivi in estasi
rosseggio impetuoso dello sfavillio,
rivela nei tuoi iridi,
ricade l’avvenente, irreprensibile
fusione di albeggiare e acqua salata.
Non fu molto
niuno la vezzosità dell’empireo,
si fermò lo zelo
in un ristretto metilico culmo
evoluto oltremodo
su un fetido terreno.
Atmosfera mia di fremito,
della realtà ancor più attesa nirvana,
col nocciolo di brace e in enfasi predatore,
avrei auspicato amarti
su un vellutato manto di primule,
sussurandoti all'orecchio
la illustre fola
sillabando lemmi
soavi come succulenti fragole.
Mai sei stata donna avventata,
esule magnolia inibita
di nerbo indomata
quanto tenue.
Solo un petalo auspicherebbe,
attualmente, trarre in pregio,
rude vita,
quel niveo ciondolo
per me sarebbe pregiato
quanto una gemma unica.
Ogni ciglio di quella candida carnagione,
sotto una chiesa piena di stelle,
vorrei lambire,
inarcato ai piedi di una divina ara,
in una solenne basilica,
l'indenne alma mia a te vorrei ungere.
Fumiga nel fosco della nottata
questa pudica e esile illusione
che senza utopia
nell’inerzia vecheggio,
dissolve all'aurora di un nuovo di,
divien indi funesto
il mattutino risveglio,
tuttora mi capacito
di esser meritevole,
metto da parte illuso
quell’inebriante smania
scalfito a pira
nel velato mio intuito. | |
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