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"Cosa faremmo noi", dissero i critici,
"se più non si scrivesse poesia ermetica,
se nessuno imitasse più quei mitici
poeti d’una ormai lontana epoca?
Se tutte le poesie fossero chiare,
se pure dei bambini le capissero,
che cosa mai andremmo noi a spiegare?
Potremmo viver come gli altri vissero?
Per favore, poeti, non cessate
di porre oscurità nei vostri versi,
così interpretazioni strampalate
potremo dare, e non sentirci persi!
Bisogno pure noi di lavorare
abbiamo, di far critiche sublimi:
dateci materiale per curare
tanti articoli alquanto sopraffini! "
Ognuno, lo si sa, deve mangiare
e, mossi da pietà, molti poeti
si misero d’impegno ad aiutare
quei loro amici poveri e esegeti. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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«E’ soltanto una satira scherzosa, naturalmente! Anch’io, del resto, fui un (aspirante) poeta quasi ermetico da giovane, nel periodo in cui si pensava che non si potesse fare poesia prescindendo da Ungaretti, da Quasimodo e soprattutto da Montale, che negli anni Settanta era il guru, il vate, forse più di D’Annunzio ai suoi tempi. Ma poi mi sono ribellato...» |
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