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È irosa, è Furia, funesta e feroce
l'onda: saltella da vette lontane,
le nevi schiude, la pregna voragine
voluttüosa ne sorge fremente,
torrente bruto è che inghiotte la polvere
da rive e sassi, e procede... procede
va, si incammina, guerriero alle gesta
supreme, invitto, d'allori più cinto...
torrente mio! rifulgente di mari
di ghiacci eterni e di gelide Mene,
oh torrente! torrente mio! E mi ricordi
con l'epico tuo incedere Callìöpe,
forse, cerbiatta che al guardo mio assaggia
il sangue d'erba e di greggi sperdute,
fatta Valchiria in cangiarsi d'un Mito!...
Adunque io qui men vo' co' i miei pensieri,
e i miei ricordi, e l'attese dell'Alpi,
a riesumàr nella Natura il Cielo
morto insepolto sul sèn delle Muse,
a contemplàr perenni ombre di arcani,
dove fola e realtà, tutto confonde.
Eccomi, oh Sogno! io rabbioso cantore
di rocce e pietre, e di vipere infami...
riconoscimi, oh ingrato, nuovo Óssian,
e proclamami tale a tutte nebbie
di queste nordiche ottuse mie nubi,
e agli Spiriti erranti di sotterra!...
mentre sibila Euterpe, il vento amato,
con le sue smanie di corni da caccia,
Sigfrido incalza, s'infuria alla guerra...
Euterpe, canto suonato dall'arpe
di Celti e Galli ridenti di Roma,
dond'io lo ascolto, lo immagino... tremo.
Oh Immaginazïone! Tu, fedele
sempiterna, presente mia compagna,
compare di ogni viandante romantico
che di te fa un flacone contro il tosco
delle sventure narrate da Clio,
uomini e donne che corrono e uccidono,
tiranni uguali di nomi diversi...
e forse farmaco a' i pianti sudati
della gemente Melpomene, ov'ella
l'occhio dovunque posa sulle vittime
di caccia, e greggi, annegamenti e ardori,
sì, second'occhio di Wotan monocolo,
che del Fato rimembra, oppùr d'Iddio!...
Oh Immaginazïone, Erato dolce,
inquietamente discinta alla valle,
come Brunnilde, tu, sposa di Grane,
destriero alato che ha nome Idëale,
e che di Sogni e baci il mio tragitto
a riempire vai di sante illusioni!...
Ma che mai fia?... Ricordo... ascolto, intendo:
tra grezze pietre e trascinata al vento
Polimnia dondola, emette rintocchi
da una chiesetta timida e piccina.
Dimmi, mio Cielo: si convèrton, dunque,
le miscredenti che ancora ti onorano
in culti orgiastici e vaghi di preci,
di canti, d'inni... sillabe e parole?
L'Arte degli Dei allor ti riconosce?...
Che brama da me Polimnia la santa?...
Mi vuole ricordare un funerale?...
un Imene?... una prece? Che qui tutto
passa, si sposa, genera, trascorre,
cresce, nutre, s'invecchia, muore e riede?
Torna alle danze dell'Eterno, e ride,
Tersicore, di Villi razza amena
che i boschi alpini popola di Notte,
e li sento, codesti passi oscuri
premere i vermi di vergini tombe,
dove dassenno Tutto va e ritorna:
pianti, lagrime, gemiti, sussurri
quelli di iëri son quelli dell'oggi...
e che fare poiché nasciamo quando
per Destino un sepolcro ci richiama?
Ridere! Ridere... e di gusto, come
alle bàïe limpide di Talia!...
Eppure suona l'oriüol tristo
della giovine Vita che procede,
che mendicando pietre a' fausti Sogni
lentamente mi lascia. Ombra d'Urania!
Così vièn la ragione matematica
a dirmi di sottrarre a quest'ignoto
Tempo i primi trent'anni, quasi! Ahimè!
E in fin il mondo non è Pöesia,
e nemmeno Arte, o Musica, o Tragedia,
ma un lettuccio tombale come culla
da dove nessùn è stato vezzato
se non per vedèr il volto d'Iddio. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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