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Il ciel ha tanto da piànger a' sera
dopo un meriggio in cui l'urlo si alzò
di titanici cuor e di follie.
L'ombre ho vedute còrrer a' le vie
sangue chiedendo, e oltraggi, e rossòr, nebbie
di sì implume vergogna, a che le rondini
più non ci sono, e fùggon maggio- autunno,
quando s'eleva e s'impazza un nuovo Unno:
Uomo! Mia schiatta, mia linfa sei tu
questo Mostro baldante e truce, eroïco
che m'ha rapita la brezza serale
di questa Primavera, e che svanisce
pallidamente come fa ora il Sole
tra i vapori dell'onde in su' le viole
per non vedersi più.
E sento il cielo che piange alla sera.
Il ciel ha tanto da piànger a' sera,
perché anche la mia ómbra è là passata,
e trascorrendo, ha calpestati i fiori
che stavano per nascere su' un prato.
Folle Natura! Questo è, dunque, il Fato!
che il forte uccida i fiorellìn piccini,
e che poi tutto sen vada disperso,
come la pausa d'un tacito verso,
in un ciclo di Morte e oscura Vita!...
Ma se tu piangi, tu stessa non reggi
questa severità delle tue leggi;
o solo accetti che Dio pianga sempre
contro di te, o Matrigna, e i tuoi peccati.
Convèrtiti! Non questo è il Fine tuo,
Vita cieca di cieca Evoluzione.
Oh Dio ascolta! Non sia che si ripeta
ogni orrore che fu!
E sento il cielo che piange alla sera.
Il ciel ha tanto da piànger a' sera,
quando il mio cuore sa che un nudo seme
di pioppo annega nell'aspra Tempesta,
sul fango posa reclinata testa;
e quest'empio odio d'uomini non più
come una volta fa crèscer la Vita
sulle spogliate guance delle pietre,
ma ululando furioso alle immense etre
sterili rende semi, feti e culla...
e tutto, anche la Vita porta al Nulla.
Ci resta qualche spene e quella Croce
d'un dì lontàn che fu.
E sento il cielo che piange alla sera,
tra aspri singhiozzi di un'altra preghiera. |
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