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Udite, serpi! stirpi orrende di uòmini,
fìn dove arriva il vacuo della Notte,
in queste grotte!
Racconterò il terrore delle nebbie,
le orme dei Mostri, le ombre dei Titàni,
ché sol Titàni e Mostri hanno ricetto
in quest'Ànime nostre, e in questo regno
che solo è degno
di vacuo e buio.
E conterò i cristalli di ogni spettro
di nebbia, come i dolori del cuore,
le eterne cure, le agitate pene,
il gelo nelle vene,
le ansie non dette, ma urlate da muto
labbro al cadèr di tempestosa pioggia,
nel doppio o triplo sguardo di una màschera
di incauta Vita,
spoglia mentita
dov'è eterno, appunto, umàn soffrìr.
E apprezzerò i rumori delle pìccole
finèstre che nel vespro vèngon chiuse
lungo i vïàli e le vìe del päèse,
donde non più e mai scorgo uscìr i lumi,
ma con dei tetti i fumi
solo nebbie - per questo! - intorno sento,
e ùlula il vento.
Sarò un vïàggiatòre nella bruma
a cercàr àttimi assenti di quiete,
a chièder luce alla Luna che muore.
Dimmi, oh tu, nebbia, perché hai in mano un ferro
che gronda sangue? Dimmi, orsù, chi hai ucciso!
Perché se in te si asconde un assassino,
non andrò più oltre,
mi fermerò a dormire, e per sognare
scamperò a questo Destino crudele.
Ma non salvano, i Sogni! |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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