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♦ Pierfrancesco Roberti | |
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Tempesta e Furia del tuo canto, o nebbia
di Luna, è il giorno oscuro e novembrino
che eternamente alla Notte assomiglia;
ed io co' il bàtter d'occhi e di mie ciglia
intèrrogo scrutando la beltà
della Natura che dorme perpetui
Sogni, e perenne abisso, e ignoto Altrove,
in una danza che tanto si muove
a rènder viva la Morte e a distrùggere
la Vita, e che così scorre e ritorna:
il ventre di Novembre che raccoglie
la bara, e il bianco seno della culla
che allatta il condannato al Fato e al Nulla,
là, con due croci sui muti sepolcri,
qua, con una preghiera al fàr di tènebra.
Oh nebbia, così vieni a urlàr dovunque
la Vanità di Salomone, e gioia,
Salomè che seduce ignuda il boia,
lo specchio delle tempeste del Tempo
che scempio fa delle donne e dei giòvini!
Oh cruda nebbia!
Ma perché... perché non mai eterni e vivi
non son gli umani sguardi? e questi clivi
qui dèvono èssere i Calvàri funerei
per chiunque abbia un respiro? Di': perché?
E tutto scorre; anche tu passi e muori,
o nebbia, spettro effìmero d'Autunno
che lasci i graffi tuoi, come se fòssero
baci di Dio, il qual dopo tanta angoscia
salverà il cuore e l'Ànima. | 
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