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Come si chiama il canto della selva
Se non Usignüòlo con il suo
Cinguettìo? E sìbila il rostro del bardo,
Pigiando il Nulla del soffio del vento,
Come un corno di caccia tra le vette.
Come si chiama il canto della selva
Se non Tòrtora, se non Cardellino,
Se non mai Rondinella che va lìbera
In cielo? E geme il bardo dalle sue
Frasche, lì, ei tintinnando gli orizzonti
Che tramòntano a sera lungo le Alpi,
Come un Eroe che muore ucciso in guerra.
Come si chiama il canto della selva
Se non mai Cingallegra o Beccaccino,
O Ramaio spoglio per i corvi oscuri,
Allodoletta? E canta il bardo ancora,
Ei lì attingendo il labbro ai freschi mieli
Dei rugiadosi muschi del suo Fato
Selvàtico e disperso ai piè di un fonte,
Mentre questa Natura è in dormiveglia:
Tra l'oro ampio del Sole del dì, e il tenue
Argento della Luna della Notte
Immane; e che si chiama Sonno, dove
Eterno ora si accende il lamentèvole
Ghigno delle tènebre profonde.
È il Gufo che predice il sconosciuto
Vespro di ogni Destino.
E tra il Nulla che inghiotte il vìver quieto,
E tra le pietre selvagge dei labbri
Dei lupi, si erge tra le cune ansiose
La brama della nuova alba e dei Sogni,
La cerbiatta con i cùccioli al seno,
Il passerotto che cova al suo nido,
E poi due labbra umane che si bàciano
Promettendo alla Notte ciò che è eterno,
Più del Destino delle rune antiche:
Ciò che è Canto di Amore. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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