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Sedendo io ammiro: oh mia terra! la tua
cera sulle ombre prime delle gemme
dei pruni, e il tuo venìr nuovo e la tua alba,
e i tuoi rondòni che bàciano il nembo
tuo, e le tue fronde antiche che si vèstono
di foglie. È Primavera!
E scorgo io quest’eterno divenìr,
questa Natura che si alterna: l’èssere
e il Nulla, il verno e l’estate che freme,
e l’orizzonte che splende di Tempo
indefinito e arcano, e di infinite
ore, e di inassopita possa. Resta
e permane l’Incògnito, e v’è Ignoto,
e v’è l’Oltre le vette che tintìnnano
di freschi rivi e di torrenti in ghiaccio.
Ed è la Primavera!
Così io andando alle terre e a queste vecchie
campagne, e a questi campi, forse io qui
nutro il cuor mio di innumerèvol salici,
e di cotanti stagni, e dei quieti ìris
primi a coprìr le ripe, e delle ròndini,
e delle mie ombre sempre più lontane:
all’orizzonte allontanarsi i tetti
e i tre miei campanìl del piccìn borgo,
e avvicinarsi i cascinali, i muri
vetusti e instàbili e le erose travi.
E sento che l’Arbogna più in là danza
le Ondine sue, trascorrendo tra i volti
dei salici rimasti, e guerreggiando
con le inondate pale del suo vecchio
e ormai inerme mulino, là, ‘ve urlando
di strani canti vola l’äìrone,
re di questa campagna co’ i sudditi
beccaccini e i gracchianti e neri corvi,
sulle prime risàïe e il granturco.
Quai canti! È Primavera!
E poco innanzi pur geme l’Agogna,
dove rimembro io l’infanzia passata
con la cascina sua di cui non resta
che una tàcita pietra. E quando vièn
la sera l’orizzonte si incupisce
ancòr. E suona il bronzo. E va la Luna;
e nella Notte io mi pasco del vuoto
divenìr di quest’àëre tacente,
e del sonno del fiore che dimàn
andrà a sbocciare, una prima vïòla,
del Nulla di quest’èssere che vive;
e nelle fauci dell’Ècate ingorda
so io che è la Primavera, e con il senso
del cuor che sogna e che ricorda e spera
or mi inebrio di Dio. |
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