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«Scrive Lia: quasi spleen? Si, ma non decadente: un po' come sfogliare "i fiori del male" e intanto aspirarne il profumo. Dal male trarre un bene che valga per sè. Dedurre la bellezza proprio mentre sfugge dalle mani è già una lezione di vita. Nel penultimo verso, attraverso cui esprimo il desiderio di poter dare un nome a tutto ciò che ci attraversa o solo ci sfiora, un nome qualunque purché si volti, perché se si volta io esisto, c'è un superamento dello spleen. E davvero io credo che pronunciare un nome significhi chiamare a sè e nello stesso tempo andare verso l'altro. Credo che senza quel riconoscersi dentro qualcuno e qualcosa siamo ben poca cosa, siamo come cani abbandonati incapaci di guaire alla propria pena, tanto e tale é lo sconforto.» |
Inserita il 29/01/2016 |
Fugaci transiti,
corpi interposti ad occultare l'oltre:
piccolEclissi.
Riemergere subitanea su buchi neri d'incuria
in bilico sui bordi.
Bastasse la voce,
quando, su una grammatica interrotta,
la parola non sa posarsi,
quando il verbo non sa chiamare a sè.
Piovessero, goccia a goccia, litanie d'acqua
vedrei uno specchio di spaesamento
sul fondo atavico di cementate sfiducie
o, forse, l'occhio di un dio traghettarmi in tenerezza.
Posso solo allungare le braccia
a tradurre un bisogno
per le mani che mancano all'amore.
Fugaci transiti,
poterli chiamare per nome,
un nome qualunque per farli voltare.
Prima che la vita si volti e mi lasci sul bordo,
senza lessico,
come cane abbandonato sul ciglio
che non sa guaire neppure alla sua pena. |
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Anna62 |
08/08/2015 23:08 | 1697 |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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