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L’alba è l’addio del cavalier errante,
e al Sole che si sorge, e a una fanciulla
l’infelice lamenta un bacio estremo
che tra le brume dolcemente scorre.
La Notte fugge, e il desiderio scorre,
e come d’un morente un cupo, estremo
sospiro si rimane, e la fanciulla
geme al fuggìr del misterioso errante.
Impallidisce l’alba; e un passo errante
tra le frasche ne intende la fanciulla,
e dell’addio è questo l’attimo estremo
che inesorabilmente ormai si scorre.
La sera muore; e la passione scorre,
e un bacio si tormenta, quel che è estremo.
Così ha dolore la mesta fanciulla,
che all’ignoto si volge al prode errante.
L’alba è il fuggìr del cavalier errante,
ed è il dolère d’un’ansia fanciulla.
Occhio contr’occhio, labbro contro labbro,
l’ultimo sguardo, è un pegno della Notte,
la man di lui che sfiora la sua destra;
ed ella piange, e alla gemma alla destra
forse suggere vuole un tosco, e Notte
eterna e cupa portare al suo labbro.
Cotanto ella ha baciato con quel labbro
che fors’anche il veleno ambisce. Notte
che abbandonata chiama alla sua destra.
Egli alfìn si distacca da sua destra,
e rimane il ricordo della Notte.
L’alba uccide la Notte,
e la fanciulla non ha alla sua destra
che il fiore, il bosco, e il duol della ginestra. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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