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Il Cavalier si mascherò e alla sala
del vissuto danzar scrutava intorno,
e dopo il quieto e divertente giorno
d'un atrio d'oro ei s'ergeva a una scala.
Le fanciulle danzàvan, dolci seni
stretti tra due velami e qualche neo,
le maschere portàvan, occhi ameni
di spiriti e farfalle, e d'Orco reo,
e il minuëtto chiamava al torneo
delle danze i messeri, e i cavalieri,
sguardi di brame, occhio di desideri,
i cappelli gentil con sopra un'ala.
Ma egli nell'atrio del ballo di gala
timidamente cercava l'adorno
crine di gemme che vide al ritorno,
ricordo che lo spirto non esala.
Il Cavalier si mascherò e attendeva
la fanciulla d’un sogno un dì vissuto,
e avvolto in una larva il labbro muto
lì vagolando di lei ne chiedeva.
Intanto andàvan tra i tanti azzardi
drappi di gatti, e di linci e di fresche
arie, e di Furie e d’altèr gattopardi,
le fanciulline rosee, fior di pesche,
e le gonne n’andavano donnesche,
e il cembalo suonò la polonese,
ed egli allora sereno la apprese,
la dama solitaria che gemeva.
Alfine al ballo e agli umor la vedeva,
ed ella aveva lo sguardo perduto,
un Angiolo del Ciel, un mai veduto
sembiante di beltà che s’affliggeva.
Allora il Cavalier n’andava innanzi,
s’avvicinava tra il grido danzante
di queste larve e d’un bel guardinfante,
e parea che chiedesse a lei: «Non danzi?».
Ma nel frattempo un reo s’avvicinava,
e punzecchiando il velo femminile
alla dama un denaro ne scagliava,
e quest’ultima con lui uscì al cortile,
e una carrozza li portò a un fienile,
e quivi consumarono l’ardore
d’un postribolo insano, un van Amore,
e il Cavalier al nulla or fu dinnanzi.
Amò una meretrice! e fuggì, ed anzi
ne meditò lo sperpero affogante
della di lei bellezza, e spasimante
contò dei sogni i terribili avanzi;
e comprese che vano è l’Ideäle,
Amore e Sogno, Dolor surreäle! |
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