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Nel fresco e mesto zefiro
che intorno spìrasi,
nell’ansia Primavera
che si riprende,
tra’ i blandi incanti e gl’incubi
de’i pruni esanimi,
l’aspide della sera
trista si splende.
Le spire sono lugubri,
la guancia si ulula,
l’alba Luna pasquale
avvolge e stringe,
e ne versa ‘l venefico
umore putrido
del sangue al maëstrale
che ‘l vespro attinge;
e pel fatal crepuscolo
immane un spirito
abbandona di Notte,
sempre più cupo,
tra l’argento de’i nugoli
che si riposano,
e d’in sull’orbe grotte
n’ìstiga ‘l lupo.
Allora i bronzi sonano
pe’i sassi gotici
degli altàr tutelari
donde co’i scettri
d’in su’i crocicchi immobili
le streghe sorgono,
come funerei mari,
demòni e spettri.
Frattanto ‘l cielo in tremiti
giace, e tormèntasi,
coll’impazzito senso
dell’etra oscura
che ovunque e trista làgnasi,
a’ rivi e a’ frassini,
e nel silenzio immenso
della Natura,
e lungi i monti in grandini
perenni e orribili
dalla sera inghiottiti,
avvinti e avvolti
tetramente ne vengono
in men d’un attimo,
e pe’i nembi infiniti
i ghiacci sciolti
tempestosi n’ondeggiano,
sempre invisibili,
e l’ombre della Vita
e delle cime
nel fior notturno fòndonsi,
e qui ne mèndicano
l’insonnia e inqueta e inclìta,
l’ansia sublime.
Così la serpe in tenebre
agli astri spasima,
come un verme d’avello
la Luna eròde,
d’ossa irridenti ‘l cenere,
sudario indocile,
e ispira ‘l folle augello,
a Morte un’ode;
e le ridde si splendono
crudeli e in brividi
ai sabbath tristi e osceni
del prence terreo,
e le coppe gorgogliano
de’i filtri ignobili,
de’i meschini veleni,
un tino ferreo,
e gli Elementi aleggiano
in Furie barbare,
nebulose di doglie,
Caos sempiterno,
come gràcil fantasimi
che si lamentano
per le sorgenti foglie
d’in sull’Inferno.
Ulula ancora ‘l funebre
manto che tremola
della zanna affamata
del lupo insonne,
pel qual rabbrividiscono
nel letto i pargoli
alla fola narrata
dall’ansie donne;
e ‘l pastorello perfido
a quest’immagine
d’un capro, occhio di sangue,
tosto s’inchina,
e gli offre ‘l fieno e l’etere
côlto da Sàtana,
e l’orizzonte langue
di lampi e brina.
Di Morte tinto un nugolo
s’inebria d’àlighe
che un ruscello ne dona
all’alte sponde
quando l’acque traboccano
e ‘l suol ricoprono,
e ogni lume abbandona
le nubi bionde,
e le campane strillano
sempre più funebri,
un cranio è ‘l Sol che muore,
osso d’un uomo,
gli occhi si decompongono
al volto tisico
d’un terribile core,
d’un negro atòmo,
e la Notte si scalpita,
questo crepuscolo
la Primavera uccide,
e tetro strilla,
e regna solo ‘l Dèmone,
di dubbio incognito,
e l’alba e ‘l giorno irride
e in lazzi trilla.
Oh Poëta, di tenebre
è ‘l Tempo instabile!...
È giunto ‘l vespro, e resta,
più non dispare.
Fu ‘l Sole un sogno affabile,
un sonno docile.
Ma ora vien la Tempesta,
t’annega ‘l mare! |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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