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A un corno che si geme e a’ monti i’ piagno
nel mellifluo membrar d’un sogno muto,
donde nel vento tormentando i’ lagno.
Allor i’ qui mi giacio e son perduto,
al gelo delle nevi e della sera,
e quel che m’è rimasto è questo liuto.
Ahimè, che lasso arpeggio, e qual preghiera!...
La valanga si scioglie e grida all’eco
esto cantar che mi duol d’arpa altèra;
e la Natura or volge un labbro bieco
nel qual mirando un’ira i’ n’ho tormenti,
volto di Notte dilettuoso e cieco.
Seppellite, oh convalli, e in furia a’ venti
quei che rimembro i fugaci momenti!
Tanto i’ piagneva d’Amore e i’ soffrìa
nel maggio che dall’Alpe un ghiaccio espose,
e qual la Primavera ‘la fuggìa,
donde fûr sogni le donate rose,
e i sospir d’un Poëta or vagolante
pe’i valichi irrequieti e in selve ascose.
Nemmen i’ n’ho le posse e l’ansimante
estro in narrar le trascorse sventure,
e febbrìl i’ tramonto; e l’albeggiante
ciel m’è conteso da’i sensi, e le cure
m’opprimono le speni, e l’avvenire
in forme si palesa orrende e oscure.
Per esto sogno che sen va a morire
maledetto ne sia costì ‘l dormire!
Cupa si grida la montagna negra,
e all’orizzonte i’ ascolto un urlo arcano,
mesta canzone di pia cingallegra.
Ma del sogno la vetta e a un cal lontano
sciogliendosi m’annega, e seppellisce
l’ansio canto, esto labbro e questa mano.
La valanga!... E chi adesso ‘l compatisce
questo Poëta che geme sepolto?...
Silenzio! E la convalle si frinisce.
Non ho più sogni, né un occhio, né un volto,
la Primavera fugge, e ‘l sogno muore
naufragando ne’i ghiacci, eterno e sciolto.
Fuvvi un membrar, un sognare d’Amore,
un senso che durò un spiro d’un core! |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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