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All’orizzonte i’ veggo i monti antichi,
e le cime innevate, e i calli e i boschi,
l’ime convalli e i praticèl aprichi.
I ghiacci che sen stanno or muti e foschi
pe’i ruscel si dileguano, e acquitrino
l’alveo è di questi e pe’i ghiacciati toschi.
Ma dinnante i’ n’ammiro ‘l negro pino,
e l’erta che rocciosa in suso sale,
Mostro che grida un insano Destino;
e qui soävemente ‘l maëstrale
pell’argento del ghiaccio altèro spira,
e l’aquila in cotesto or n’apre l’ale.
Allor quest’occhio mesto in ciel ammira
esta regina che trista s’aggira.
Frattanto ne risòna un oricalco
d’un cacciator che va pel sasso alpestre,
mentre in tra’i nembi si lamenta un falco;
e quivi e mesto i’ volgo al fior silvestre
d’un timo che si cresce all’erba fresca,
come all’ermo ne fan le pie ginestre.
Ma quella ch’i’ ne veggo la donnesca
ombra d’un picco cotanto i’ pavento
che sublime mi par; e pria che cresca
questa paüra, i’ ne contemplo ‘l vento,
un gelido sorriso d’un torrente
che in petto mi ravviva ‘l cor sgomento.
Così melliflua m’appar la sorgente,
che sciògliesi la neve a un ciel gemente.
Eppur, ora che all’ima valle i’ volgo
e i baratri i’ n’ammiro, e i campanili,
un tormento tuttor tra’i monti accolgo.
Piccioli sono i campagnòl fienili,
e quasi con un pugno i’ qui li afferro,
quivi in su’un monte e in tra’i venti gentili.
Così i’ mi perdo in esti, e sempre i’ n’erro
co’un stordimento all’occhio e in sensi inqueti,
tra le terre pietrose, e ‘l monte è un sgherro;
e i ruscelli mi sono or sì irrequieti
che ‘l loro sospirar m’è ‘l sangue in core,
nivei e argentati e tormentati greti.
Oh sconfinate valli in bel sopore!...
Oh erte che sale ‘l crudel cacciatore! |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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